Diversity Donne

Leftover women: ancora diseguaglianze di genere nella Cina moderna?

Leftover women

Come potremmo tradurre la parola inglese “leftover”? Lasciate indietro, scartate, rimanenze?
Nel caso delle donne a me viene in mente un termine che sono anni che non sento più, nell’imperante politicamente corretto, che è “zitelle”.
Nella mia gioventù, soprattutto nei paesi di piccole dimensioni, era una preoccupazione. Il termine veniva sibilato con cattiveria. Dietro questa etichetta si nascondeva sicuramente una donna difficile, brutta, che non avrebbe ricevuto nessuna proposta di matrimonio.
Una mia zia diceva a sua figlia, che era rimasta a casa al suo fianco e non si era sposata: “La tua disgrazia è stata la mia fortuna…”. Perché rimanere zitelle era, ovviamente, una disgrazia.
Poi, negli anni, il termine zitella è via via scomparso, sostituito da un “single” che ha un connotato descrittivo e non valutativo. Si può essere single per scelta, o di ritorno. E soprattutto sono single anche gli uomini e non solo le donne.

E’ sorprendente quindi leggere che questa attribuzione negativa proviene da uno dei paesi che sta correndo in modo veloce sulla via dello sviluppo, la Cina.

Un paese dove la sorte delle donne è stata intimamente legata alle vicende politiche. La prassi dei piedi fasciati, una pratica devastate dal punto di vista della salute, portata avanti per compiacere il desiderio estetico maschile, è stata abolita solo nel 1911. Poi, nell’epoca maoista, la cultura è cambiata radicalmente, mettendo in campo un’uguaglianza sostanziale, soprattutto nella Cina industriale e delle città, dove i compiti sociali al maschile e al femminile diventavano sostanzialmente simili. Una delle eredità del periodo maoista giudicata universalmente con favore.

Oggi, da quanto di evince dalla ricerca di Leta Hong Fincher, le cose stanno cambiando ancora, e non in senso positivo.
Già dal 2007 la All-China Women Federation ha lanciato una campagna contro le donne che lavorano troppo, interessate solo alla carriera, tesa a stigmatizzare quelle che a 26/27 anni non avevano ancora un marito. Una campagna che, con ogni probabilità, affonda le sue radici in un profondo cambiamento di senso della famiglia patriarcale, pietra angolare della società confuciana.

Nei turbolenti mutamenti culturali che hanno segnato il grande gigante asiatico è interessante notare come l’attuale leadership si richiami sempre più alle tradizioni confuciane, al pensiero che per millenni è stato il portato dell’unità, attraverso le diversità delle provincie, dei dialetti, delle tradizioni.
Difficile dare una spiegazione coerente a questa campagna contro le donne indipendenti e che si sottraggono al giogo del matrimonio, probabilmente la paura maschile di essere sopraffatti da queste giovani scolarizzate e determinate, o ancora la difficoltà nel garantire un ricambio demografico decente dopo gli anni della politica obbligatoria del figlio unico.
La prima spiegazione viene confermata dall’introduzione di quote maschili in alcune università cinesi, perché attraverso il merito l’ingresso delle donne sovrastava di molto quello degli uomini.

Anche nel mondo del lavoro, nonostante le maggiori qualificazioni e, spesso, determinazione, le donne non hanno vita facile. Secondo la sociologa Liu Jieyu le donne vengono licenziate più frequentemente degli uomini e in seguito incontrano più difficoltà nel re-ingresso nell’attività. Sempre questa autrice nel suo Gender and Work in Urban China: Women Workers of the Unlucky Generation sottolinea il persistente pay gap tra uomini e donne.

In questa situazione si inserisce una comunicazione ufficiale, sostenuta da diversi attori, anche del potente partito comunista e della federazione delle donne che, biasimando le donne che pensano solo alla carriera, ripropongono la divisione dei ruoli tradizionali, con l’universo femminile raccolto all’interno della casa.

La paura femminile di non trovare marito si concretizza poi in matrimoni squilibrati, soprattutto dal punto di vista economico, dove le donne contribuiscono – ad esempio – all’acquisto della casa, ma la proprietà viene registrata al solo nome del marito. Un’analisi delle proprietà immobiliari mostra uno squilibrio sostanziale tra quanto le donne guadagnano e i loro beni, situazione che diventa estremamente critica in caso di divorzio, perché la casa rimane al marito.Leftover women
Anche in questo caso ritorna la primazia maschile confuciana, proposta attraverso molte testimonianze di donne a cui viene negata l’eredità a favore di un parente maschio, anche di minore legame di sangue. Ad esempio alcune famiglie preferiscono lasciare le proprietà ad un nipote, ancorché maschio, che alla propria figlia.

Una nota di colore, descritta nel libro: le fiere organizzate affinché uomini e donne si incontrino; evidentemente nella furia lavorativa che investe la Cina urbana non rimane più tempo, e forse non vi sono luoghi adeguati, per incontrarsi e costruire una relazione.

Ovviamente la situazione descritta è una tendenza, che sconta differenze notevoli tra città e città, tra donne istruite e quelle che svolgono un lavoro manuale. Tendenze che non possono essere scambiate come un ritorno al passato, ma che mettono in guardia da possibili diseguaglianze crescenti, in una realtà che dell’equità di genere aveva fatto un obiettivo realizzato.

In questo contesto sono le donne stesse, come l’autrice di questo libro e di altre ricerche citate, ad alzare lo sguardo e a mettere in guardia verso i rischi che si stanno correndo.

La conclusione è che l’equità, non solo di genere, non può mai essere data per scontata e che è necessario che si lavori insieme per mantenere i traguardi realizzati, con un’attenzione ai dati concreti, più che alle dichiarazioni di principio.

Autore

Cristina Bombelli

Fondatrice di Wise Growth, si è occupata di Diversity & Inclusion dagli anni ‘80.

È stata professoressa presso l’Università di Milano-Bicocca e per anni docente della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi dove ha fondato il primo centro studi di ricerca sul tema. È stata visiting scholar presso l’Università di La Verne in California.
È pubblicista e autrice di numerosi articoli sui temi del comportamento organizzativo e della gestione delle diversità. È stata presidente della fondazione “La Pelucca” onlus, dedicata ad anziani e disabili. È certificata IAP di THT (Trompenaars Hampden – Turner) per la consapevolezza interculturale, executive coach con Newfield e assessor con Hogan.

Ha pubblicato numerosi libri tra i quali i più recenti: Alice in business land. Diventare leader rimanendo donne, 2009; Management plurale. Diversità individuali e strategie organizzative, 2010; Un manager nell’impero di mezzo, 2013; Generazioni in azienda, 2013; Amministrare con sapienza, la regola di San Benedetto e il management, 2017; La cultura del Rispetto. Oltre l’inclusione, 2021.

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