La tutela del diritto alla maternità della madre lavoratrice e la tutela del figlio ad accudimento e salute sono principi di rango costituzionale derivanti dagli articoli 29 e 31.
In Italia, come in altri Paesi Europei, il legislatore è intervenuto per dare effettiva tutela “genitoriale” alla conciliazione di vita personale e familiare.
Le norme che disciplinano permessi e congedi a tutela della maternità e della paternità sono contenute nel Decreto Legislativo n. 151 del 2001, cosiddetto Testo Unico maternità/paternità.
Il congedo di maternità (due mesi antecedenti la data presunta del parto e tre mesi successivi) è il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alla lavoratrice durante il periodo di gravidanza e puerperio.
Durante il periodo di assenza obbligatoria dal lavoro la lavoratrice percepisce, in sostituzione della retribuzione, un’indennità economica. Il diritto al congedo ed alla relativa indennità spettano anche in caso di adozione o affidamento di minori.
In presenza di determinate condizioni che impediscono alla madre di beneficiare del congedo di maternità, il diritto all’astensione dal lavoro ed alla relativa indennità spettano al padre (congedo di paternità).
Tale normativa è, allo stato, applicabile solo ai lavoratori dipendenti.
Le libere professioniste, categoria sempre più numerosa, non godono di altrettanta tutela. E quindi, avvocate, commercialiste e tante altre professioni.
E’ ormai noto che le avvocate rappresentano circa la metà degli iscritti a molti Ordini Forensi.
I Comitati Pari Opportunità, organismi istituiti ex lege e presenti in molti ma non in tutti gli Ordini, hanno avvertito la necessità di sottoscrivere, unitamente agli Uffici Giudiziari e amministrativi, Protocolli di intesa a tutela della genitorialità per l’attuazione dei principi di uguaglianza di genere e per rimuovere le disparità di trattamento.
Documenti idonei a promuovere, tra tutti gli operatori di giustizia, avvocati, magistrati e personale amministrativo, iniziative in relazione all’astensione dell’avvocata per il periodo corrispondente al congedo di maternità stabilito, ex art.16 D.Lgs.151/2001 e con figli fino a tre anni.
Nel Protocollo di intesa, sottoscritto il 1 giugno 2011 da tutti gli Uffici Giudiziari e Amministrativi e le Istituzioni Forensi della Corte di Appello di Milano, ad esempio, è previsto il riconoscimento del periodo di congedo di maternità (due mesi antecedenti la data presunta del parto e tre mesi successivi) quale legittimo impedimento dell’avvocata a comparire in udienza, previa richiesta di rinvio, corredata della necessaria documentazione, da presentarsi tempestivamente all’Autorità procedente.
Tali documenti, tuttavia, proprio per la loro natura pattizia non hanno valore vincolante e vi è il concreto rischio di una disparità di trattamento dell’avvocata a seconda dell’Autorità Giudiziaria davanti cui la stessa si trovi.
Occorre, quindi, modificare la normativa processual penalistica, così da prevedere un vero e proprio legittimo impedimento per l’avvocata in gravidanza o con figli piccoli.
Lo scorso settembre, dopo varie proposte di legge presentate negli anni scorsi senza fortuna, è stata presentata alla Camera, d’iniziativa delle onorevoli Rossomando ed Amoddio, la proposta di legge n. AC 4058 denominata “Modifica all’articolo 420 ter del codice di procedura penale in materia di legittimo impedimento dell’avvocata nel periodo di maternità”.
Tale progetto normativo propone l’aggiunta, all’articolo 420 ter del codice di procedura penale (impedimento a comparire dell’imputato e del difensore), di alcuni commi che estendano la normativa al legittimo impedimento dell’avvocata al periodo di maternità nei due mesi antecedenti e nei mesi successivi al parto. Lo stato di gravidanza deve essere, ovviamente, documentato con certificazione del medico da depositare entro tre giorni dalla richiesta in udienza tramite PEC.
In tale caso il giudice, su richiesta del difensore, rinvia il processo ad altra udienza, tenendo conto della scadenza naturale dell’impedimento del difensore e comunque non oltre trenta giorni rispetto alla data di cessazione dell’impedimento medesimo.
Per il periodo di impedimento restano sospesi il corso della prescrizione ed i termini di custodia cautelare.
Nei procedimenti penali con imputati sottoposti a custodia cautelare, il difensore, prima di richiedere il rinvio dell’udienza, deve informare l’imputato delle conseguenze dell’eventuale accoglimento dell’istanza sotto il profilo della sospensione del termine di durata della misura relativo alla fase in cui si trova il procedimento e l’impedimento sarà legittimo solo nel caso di consenso dell’imputato stesso.
Anche nel Congresso Nazionale Forense di quest’anno, svoltosi a Rimini ai primi di ottobre, tale proposta di legge è stata sostenuta quale raccomandazione e moral suasion al Ministro della Giustizia.
I prossimi mesi saranno, quindi, fondamentali per sensibilizzare la politica su un tema socialmente importante e non più rinviabile.
Sarà utile che politica e avvocatura facciano massa critica ed empowerment per giungere all’approvazione di una norma che deve necessariamente sanare il vuoto normativo, attualmente esistente per l’avvocata madre, attuando quindi, nel rispetto della genitorialità, la parità di genere nell’avvocatura.