Diversity management, Diversity management… ormai ne parlano un po’ tutti, o per convinzione o perché è opportuno seguire la scia, e ogni azienda si ritrova sul tavolo questo tema scottante. Anche chi possiede un inglese incerto capisce che per Diversity management si intende la gestione della diversità in azienda.
Parlando di diversità, si pensa prima di tutto alla diversità di genere, quindi (più o meno a pari merito), di etnia o di orientamento sessuale. Manca qualcosa? Sì, anche in questa classifica – se così vogliamo chiamarla – la disabilità si dibatte in zona retrocessione. Eppure parliamo della “Terza nazione del mondo”, dal felice e intuitivo titolo di un libro dello storico con disabilità Matteo Schianchi proprio sul tema: un miliardo di persone.
In Italia le persone disabili sono più di 4 milioni, di cui 1,5 milioni in età lavorativa, con un tasso di disoccupazione dell’80 per cento. La biennale Relazione al Parlamento italiano sullo stato della Legge 68 mostra numeri inequivocabili. È per questa ragione che emergono (in Canada e USA sono attive già dagli anni ’90 del secolo scorso) figure come quella del Disability Manager, deputato alla gestione della disabilità in un determinato contesto (quindi anche in azienda, ma non solo: ad esempio, tale figura è molto indicata per un contesto pubblico).
Stiamo parlando quindi del Disability management, una costola della Diversity.
In Italia non si ha ancora una normativa specifica che regoli doveri e competenze di questa figura professionale, che ha nel SIDIMA la sua associazione di riferimento. Per scoprire quindi il valore che apporta il Disability manager si è tenuto lo scorso novembre a Milano il primo convegno sul tema, ideato e moderato da Consuelo Battistelli (Diversity Engagement Partner per IBM Italia) e Veronica Mattana (psicologa e ricercatrice indipendente). Sono emersi punti di riflessione davvero significativi: numeri, se vogliamo, che mai come in questo caso dicono più di molte parole. Ben 785 sono i milioni di persone con disabilità in età lavorativa nel mondo. Il lavoratore disabile ha un rischio doppio di essere licenziato rispetto ad un lavoratore senza disabilità e la sua remunerazione è inferiore del 21%: se questa non è discriminazione! È dimostrato poi che l’inclusione passa più per i colleghi che per i superiori. Molto interessante, infine, il valore rappresentato dal “Bilancio di inclusione”: un lavoratore in azienda non porta solo costi o anche sgravi fiscali, ma una serie di benefici intangibili, oltre a quelli tangibili.
Se si vuole che questi temi non siano sulle agende delle aziende solo per una questione di opportunità, sarà bene scendere nei dettagli operativi.