Diversity Lavoro e Management

Quanto è basso il soffitto di cristallo?

Il rendiconto non finanziario

Piuttosto in sordina, senza particolare risalto nelle riviste e nei convegni specialistici, è stato pubblicato in gennaio il Decreto Legislativo 30 dicembre 2016, n. 254 che recepisce la Direttiva 95/2014/UE e obbliga dal 2018 le aziende di grandi dimensioni a pubblicare, unitamente al rendiconto finanziario, anche dati di carattere non finanziario.

In estrema sintesi, le aziende che rivestono un interesse pubblico (banche, assicurazioni, società quotate, ecc…), quelle che hanno oltre 500 dipendenti e specifiche caratteristiche economiche, dovranno fornire annualmente indicazioni sulle iniziative adottate in materia ambientale, sociale, il rispetto dei diritti umani, le misure adottate per la lotta alla corruzione e le politiche del personale, in particolare quelle rivolte alla parità di genere ed al tema della diversità.
E qualora le aziende non lo facciano, dovranno pubblicare le motivazioni della mancata adozione di tali politiche.
Era ora.

Tre sono le cose che a mio avviso sono davvero importanti:
  1. Accanto al dato economico il legislatore richiama l’attenzione sul dato non economico, sul non detto delle organizzazioni aziendali che però crea valore
  2. Tra le politiche che creano valore sono riconosciute le politiche sulla diversità e la parità di genere
  3. Attraverso la pubblicazione il legislatore intende da un lato valorizzare le buone pratiche e, dall’altro, richiamare le società che non forniscono informazioni

Credo ci sia di che festeggiare.

Dalle parole ai fatti

Da tempo molte aziende si sono cimentate nel declinare specifiche politiche di Corporate Responsibility e Welfare aziendale, ma raramente ne viene misurata l’efficacia in concreto.
Credo che questo decreto legislativo possa rappresentare un passo avanti, costringendo le organizzazioni aziendali ad interrogarsi non solo sull’esistenza di tali politiche e sulla loro reale efficacia.

Anche in tale ambito la funzione di Compliance aziendale, che è la funzione interna deputata alla corretta implementazione delle norme ed al successivo controllo di efficacia (obbligatoria in banche e assicurazioni ma presente ormai in molti altri settori), dovrebbe avere un ruolo centrale.

Qualche idea: per esempio, si potrebbe effettuare l’analisi dei piani strategici sotto un profilo non finanziario e indirizzarli, ove opportuno, in tal senso.
Come sono orientate le politiche? verso quali prospettive? esiste un equilibrio tra gli obiettivi a breve termine e quelli a medio e lungo termine (se presenti)?

Valutare il clima aziendale, il turnover, l’efficacia delle politiche di sostegno alla maternità ed alla paternità. Su quest’ultimo punto, occorre riconoscere che i provvedimenti normativi volti a favorire l’accesso ai congedi parentali per i papà dopo la nascita del bebè hanno avuto finora risultati deprimenti.
E’ ancora sempre la mamma ad usufruire dei permessi retribuiti, con ricadute importanti nella relazione coniugale, familiare e sociale. Forse i tempi sono maturi per pensare ad iniziative, anche private, che agevolino una paternità più concreta, presente, un ruolo genitoriale più condiviso. I benefici per le aziende (e per la comunità) non tarderebbero a manifestarsi.

E che dire dei percorsi di recruitment e sviluppo interno delle carriere. Mentre da un lato è stata “imposta” la partecipazione delle donne nei consigli di amministrazione di società quotate, dall’altro si continua a registrare uno scarsissimo accesso delle donne in ruoli direttivi e di management.

Il tetto di cristallo è davvero ancora basso, se ci si sofferma a verificare i dati aziendali di banche, assicurazioni, grandi imprese.

Con il risultato che le donne nei consigli di amministrazione non hanno riferimenti femminili nei ruoli apicali e faticano a scardinare le logiche maschili che generalmente governano le organizzazioni aziendali.
E che dire delle retribuzioni, ancora così distanti tra uomini e donne, e con un divario che paradossalmente è più ampio più alto è il ruolo ricoperto e il livello di istruzione.
Un completo assessment aziendale potrebbe agevolare il riconoscimento delle aree maggiormente toccate dal fenomeno e favorire il riallineamento delle retribuzioni.
Esistono realtà aziendali che hanno già effettuato questo assessment, ottenendo risultati (poco) sorprendenti e hanno in concreto posto in essere una revisione delle politiche interne di remunerazione.

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro

Ma il lavoro non è uguale per tutti e per tutte.

Consentitemi ancora qualche esempio. Prendiamo il tema della continuità delle funzioni aziendali. Alcune raccomandazioni sono state spese in tale contesto. Nel mondo che mi è più familiare, quello delle banche e della finanza, l’ESMA, l’ente di controllo europeo delle banche, ha volto specifiche disposizioni per la funzione di conformità aziendale.
In particolare, si chiede di garantire la continuità della funzione anche in caso di mancanza del Responsabile della funzione, per qualsivoglia ragione.

Tale raccomandazione – che sembra quasi banale nella sua semplicità, quasi una mera condizione di “buon senso” – dovrebbe essere estesa a qualsiasi ambito e funzione aziendale e può essere di fatto realizzata solo attraverso un piano, un disegno strategico delle organizzazioni, non può essere lasciata al caso.
Dovrebbe essere disciplinato con chiarezza all’interno delle organizzazioni, che tra i principali obiettivi di ogni Responsabile vi è quello di garantire il back up, di coltivare un ambiente di effettive responsabilità ripartite, oltre che identificare uno o più soggetti in grado di sostenere per periodi di tempo più o meno limitati lo svolgimento delle attività senza ripercussioni sull’organizzazione aziendale.
Possono essere individuate una serie di soluzioni diverse, ma, a mio avviso, nessuna di tali soluzioni può prescindere da un percorso di diversity management: ogni piano di successione deve essere valutato in termini di genere, età, razza, esperienze, educazione, salute, ecc…

Lo spettro delle diversità è ampio quanto lo sono gli esseri umani e il tetto di cristallo è ancora troppo basso non solo per le donne, ma anche per immigrati, troppo giovani, troppo senior, LGBT, diversamente abili, ecc…
E’ una questione di business…. ma anche di compliance.

Sempre più la gestione della diversità è, in via diretta o indiretta, richiamata dalle norme, e diventa oggetto di responsabilità.
L’attenzione per l’altro, la non discriminazione, l’inclusione assumono oggi valore non solo dal punto di vista etico o personale, ma sociale, economico e regolamentare.

La responsabilità sociale diventa quindi una questione di business e di compliance.

Di business perchè è provato, oltre che intuitivo, che organizzazioni aziendali attente alle responsabilità sociali, che adottano efficaci politiche di welfare e attenzione ai bisogni delle persone, hanno profitti più alti, soprattutto nel medio e lungo termine, anche grazie all’attrattività che l’azienda ispirata ad un comportamento etico ha sui talenti.

Di compliance perchè la scelta di non adottare politiche di responsabilità sociale, oltre che non profittevole, può esporre a rischi di non conformità alle norme, sanzionatori o reputazionali.

Autore

Maria Rosa Molino

Maria Rosa Molino, nata a Torino, 53 anni fa, vive a Milano, è sposata e ha due figli. Avvocato, opera da oltre 30 anni nel settore bancario e finanziario. Dopo aver svolto attività di assistenza e consulenza legale presso importanti banche nazionali e internazionali, da oltre 8 anni ha assunto ruoli di crescente responsabilità nell'ambito della funzione Compliance, che rappresenta, per lei, il completamento della sua formazione professionale. Nel suo percorso personale e professionale ha avuto la fortuna di collaborare con tante donne leader e manager, che hanno fortemente ispirato (ed ispirano) la sua attività ed il suo impegno.

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