Maternità e genitorialità

Genitori e denatalità: la difficile arte della conciliazione

Dalla conciliazione alla condivisione
Scritto da Stefania Baucè
Anche per il 2016 l’Istat ha certificato un’ulteriore diminuzione delle nascite in Italia: 474.000 bambini, circa 12.000 in meno rispetto all’anno precedente (-2,4%). Il calo interessa tutto il territorio nazionale, con la sola eccezione della Provincia di Bolzano che registra invece un incremento del 3,2%. Il numero medio di figli per donna scende per il sesto anno consecutivo e si assesta a 1,34.

Il dato più allarmante è che ci troviamo all’interno di un trend negativo di cui non si riesce a invertire la tendenza.
Le concause di questo crollo delle nascite sono differenti e molteplici: gli indici della disoccupazione giovanile sono a due cifre, ci si sposa con minor frequenza e sempre più tardi, si diventa genitori sempre più avanti. Negli ultimi 10 anni, infatti, sono raddoppiate le madri over 40 (6.2%).

Conciliare lavoro e vita privata, almeno in Italia, sembra essere al momento un problema al quale non si riesce a trovare soluzione, se non in sporadici casi come quello della provincia di Bolzano, che desta notizia per il solo fatto di avere dati in controtendenza.

Tra le motivazioni di questo calo della natalità troviamo alcuni aspetti relativi alla sfera professionale che contribuiscono a rendere ancora più difficile la conciliazione: rigidità degli orari, lavoro su turni o nel fine settimana, servizi di delega costosi e non sempre così equamente diffusi su tutto il territorio nazionale. Anche se suona paradossale dirlo, sembra che spesso la prima strategia di “conciliazione” sia la rinuncia al lavoro (soprattutto da parte delle donne) o il ricorso al part-time; scelta che frequentemente, in Italia, coincide purtroppo con l’abbandono di ogni opportunità di crescita professionale.

Un’altra “soluzione”, sempre più frequente, è la scelta di procrastinare l’età della prima maternità, andando spesso incontro a problemi, sovente sottovalutati, di infertilità. Anche la decisione di avere un solo figlio è in qualche modo un tentativo mal riuscito di conciliazione anche se non è, come ci si aspetterebbe, la quantità di “lavoro materno” a determinare il conflitto, ma il passaggio stesso alla maternità, indipendentemente dal numero di figli.

Promuovere e praticare su larga scala strategie di conciliazione non è più un’opzione, ma una necessità per tentare di invertire il trend negativo degli ultimi anni e di arginare il fenomeno delle lavoratrici che si dimettono dopo la nascita del primo figlio (+6% rispetto al 2013) (Relazione annuale presentata nel 2014 al Ministero del Lavoro sulle dimissioni e risoluzioni consensuali dei lavoratori).

Si delinea un doppio fronte di complessità nella conciliazione: quello personale, psicologico ed esistenziale e quello della gestione della realtà.
Del primo abbiamo già parlato in precedenti post in questo blog; la tesi del nostro libro è che non esista una buona conciliazione concreta, logistica ed operativa (esterna) se non c’è stata a monte una profonda e serena conciliazione interna che nasce da un percorso soggettivo di consapevolezza.

Una volta compreso ciò ci si può dedicare al fronte esterno della conciliazione, ovvero la sua attuazione concreta ed operativa nel mondo e nelle relazioni con gli altri attori del sistema.
A questo scopo possiamo ricorrere ad alcune prassi che possono essere utilizzate indipendentemente da quale sia la controparte: azienda, partner o baby sitter; ad esempio:

    • Definire i punti fermi all’interno del balance e comunicarli con chiarezza all’esterno: alcune questioni “imprescindibili” è bene che siano delineate con onestà e trasparenza.
    • Imparare a delegare: sia nella vita privata che sul versante professionale; la delega è una capacità sulla quale è sempre importante e proficuo lavorare.
    • Accettare l’imperfezione della controparte, del tutto simmetrica a quella di ogni individuo. Visto che il raggiungimento della perfezione è per noi umani illusoria, la fatica per ottenerla non è funzionale, anzi, alla lunga, può scoraggiare. E’ utile quindi imparare ad accettare che la baby sitter di nostro figlio non sarà mai Mary Poppins, ma che averla potrà comunque agevolarci nel dedicare tempo ed energie al raggiungimento degli obiettivi professionali importanti per ognuno.
  • Comprendere per cosa valga la pena lottare, e cosa invece in una negoziazione con il mondo, rimane un’attesapoco realistica o un’illusione. Essendo le energie ed il tempo risorse scarse è fondamentale distinguere tra giuste lotte, che meritano un investimento da parte di ognuno, e pretese che invece ostacolano un’efficacie composizione delle parti. Lavorare ogni giorno per una vera condivisione degli impegni domestici con il partner è una giusta lotta; aspettarsi che nostro marito esegua i compiti sotto il nostro controllo o come lo faremmo noi, è una pretesa inutile e dannosa.
Conciliare non è certamente facile, anzi spesso è complicato e faticoso, ma se si sommano a questa fatica obiettivi poco chiari, una comunicazione a volte farraginosa con la controparte, esigenze perfezionistiche e battaglie “inutili”, il rischio è quello di disperdere energie preziose che invece potrebbero essere dedicate ad altro.

Per tentare di arginare in qualche modo il fenomeno di denatalità in Italia, dal 4 maggio è diventato operativo il “Bonus mamma”. Si tratta di un premio di 800 euro previsto dal Governo con la legge di Bilancio del 2017, per ogni figlio nato, adottato o affidato dal 1 gennaio 2017.

Senza voler nulla togliere a quest’iniziativa, che comunque va nella giusta direzione, il nostro Paese ha bisogno di misure permanenti e non di iniziative una tantum. Per ottenere effetti duraturi e concreti, è necessaria una politica seria e lungimirante su queste tematiche che viaggi in parallelo con un profondo cambio culturale all’interno delle famiglie, delle aziende e nel sistema Paese.

Se la conciliazione anche in futuro riguarderà solo un pubblico femminile, l’onere di tutto continuerà a pesare ed ostacolare sempre e solo su una parte.

Il passaggio risolutivo è invece l’inclusione anche dei padri nella gestione del doppio impegno tra lavoro e famiglia, per traghettare da un modello di conciliazione al femminile a quello di condivisione genitoriale.

Autore

Stefania Baucè

Stefania Baucè è senior partner di Wise Growth.
Laurea in Economia e commercio conseguita presso l’Università Cattolica di Milano e Master in Marketing Management in Istud.
Ha lavorato in ambito retail GDO dal 2000 al 2010 nel ruolo di senior buyer. Dal 2011 è senior consultant di Wise Growth: si occupa della progettazione e docenza di percorsi formativi sui temi legati alla diversity & inclusion. I principali ambiti di interesse riguardano le tematiche di genere, la gestione del rientro dalla maternità in azienda e gli strumenti che possano agevolare una miglior conciliazione vita privata/vita lavorativa.
Executive coach ICF ACC, diploma conseguito nel 2014 presso EEC Scuola Europea Coaching.

Nel 2017 e 2018 ha frequentato a Barcellona alcuni corsi sul somatic coaching, organizzati da Strozzi Institute.
Coautrice di “Maternità, lavoro, vita” in Girelli L., Mapelli A. (a cura di), “Genitori al lavoro. L’arte di integrare, figli, lavoro, vita” GueriniNext 2016 e contributor nel volume “La Cultura del Rispetto. Oltre l’inclusione” di Bombelli M.C., Serrelli E., GueriniNext 2021.

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