A settembre 2024 è stato pubblicato “Unicità ”, l’ultimo libro di Cristina Bombelli edito da Franco Angeli. Cristina è stata la prima donna in Italia ad affrontare le tematiche connesse al genere nei contesti organizzativi, nel 2008 ha fondato la società di consulenza e formazione Wise Growth e ha all’attivo numerose pubblicazioni che analizzano le tematiche di Diversity, Equity & Inclusion da varie prospettive.
Forte di un’esperienza pluriennale come formatrice e docente in aziende e università, nel suo ultimo testo Cristina si pone alcune domande fondamentali in un momento storico di profondo cambiamento non solo dei contesti organizzativi ma dell’intera società. In questo articolo l’autrice ci offre una panoramica su “Unicità” e utili chiavi di lettura per quelle persone desiderose di rimanere aggiornate su un mondo del lavoro in continuo divenire.
Il rapporto tra unicità e benessere nei luoghi di lavoro
La riflessione sull’unicità che mi è stata proposta da Silvia Zanella, curatrice della collana “Voci del lavoro nuovo” è stata un’occasione preziosa per collegare molti spunti del mio percorso personale.
L’unicità emerge con prepotenza dalle richieste delle persone che desiderano uno “sguardo” attento a due aspetti: il primo alla propria individualità, alle competenze che concretamente vorrebbero condividere nel contesto lavorativo e magari non vengono accolte; l’altro aspetto è il benessere, che viene giustamente reclamato in un’epoca in cui i bisogni di base sembrano, almeno nel nostro contesto geografico, soddisfatti.
Nuove prospettive di inclusione per evitare di “scomparire” nelle organizzazioni
Il principale ostacolo alla valorizzazione dell’unicità nei luoghi di lavoro non dipende tanto dagli aspetti organizzativi, dalle strutture o dalla inevitabile gerarchia, quanto proprio dai sistemi di gestione delle persone. Le aziende, per ovvi motivi, hanno sempre raggruppato le proprie persone in segmenti omogenei chiedendo loro quanto l’organizzazione necessitava.
Per fare un esempio: le antiche descrizioni delle mansioni, così come le attuali posizioni, ma anche la definizione degli obiettivi, partono dalle necessità organizzative e vanno a identificare le persone che possono ricoprire quel ruolo. Ma spesso le persone hanno anche altre competenze e, in tutto l’arco del loro sviluppo professionale, possono possedere o sviluppare curiosità differenti dal percorso assegnato.
Fare attenzione all’unicità significa provare a costruire un dialogo con le proprie collaboratrici e i propri collaboratori, aprendo prospettive di sviluppo nuove e magari inconsuete.
Si tratta fondamentalmente di adottare un approccio inedito al concetto, sempre più dibattuto, di inclusione. Molti studi mettono in luce come i progetti in ambito Diversity, Equity & Inclusion tradizionali, partendo da una segmentazione delle persone in base ad alcune caratteristiche – ad esempio genere, età, orientamento sessuale e così via – rischiano di proporre nuovi e più raffinati stereotipi. La classificazione degli individui non è mai buona cosa. Certo, in alcuni casi è più semplice e cognitivamente economico farlo, ma con la consapevolezza che in un gruppo possono sempre esistere delle eccezioni. L’attenzione all’unicità tende proprio a superare questo rischio mettendo il più possibile al centro le persone: con i loro bisogni, le loro aspettative e le loro competenze attuali o potenziali.
Buone prassi nella gestione delle persone nei contesti organizzativi
Le prassi che cercano di venire incontro a questa richiesta da parte delle persone sono quelle che partono dal conoscere il proprio contesto e come viene percepito e vissuto dalle collaboratrici e dai collaboratori. Molto spesso vi sono parole d’ordine imposte dal desiderio di comunicare il lato migliore della propria organizzazione: ad esempio, tutte le aziende ormai si dichiarano sostenibili, inclusive e green ma, spesso, dietro queste nomenclature si nascondono situazioni ben diverse e talvolta critiche.
È normale, pensando alla complessità che è necessario affrontare, ma quando la frattura tra ciò che è dichiarato e successivamente praticato è notevole, si apre un rischio di demotivazione molto grande. Quindi la prima prassi consigliabile conoscere cosa accade al proprio interno, decifrare le cosiddette “linee di faglia” portatrici di potenziali conflitti, avere il coraggio di guardare in faccia la realtà.
A partire da questa consapevolezza è possibile impostare delle attività organizzative e formative che, partendo dalla cultura esistente, possano introdurre modalità di relazione e comunicazione incentrate sul rispetto. Per queste vi sono alcuni elementi chiave che afferiscono ad ogni momento di cambiamento aziendale: ad esempio, il coinvolgimento del board in modo che la scelta da seguire sia condivisa e supportata, l’estensione a tutto il management di queste scelte e quindi la diffusione in tutta l’organizzazione.
Le principali sfide e risorse nella promozione di cultura del rispetto e dell’unicità
Ogni cambiamento culturale è tradizionalmente accompagnato da alcuni ostacoli comuni:
- In primo luogo, la storia organizzativa: il celebre “abbiamo sempre fatto così”. Un atteggiamento da un lato condivisibile perché consente di fare economia di pensiero e di tempo, ma dall’altro rimanda e ostacola l’innovazione.
- Il secondo elemento è legato ancora al tempo, a modalità di comportamento spesso concitate e al limite delle ore a disposizione: situazione che rimanda gli aspetti importanti di giorno in giorno. Infine, bisogna ammettere che riconoscere e gestire l’unicità è faticoso: si tratta di ascoltare e di costruire risposte che spesso sono molto diverse dal passato e quindi richiedono un pensiero innovativo.
L’emergenza legata alle nuove generazioni
Oggi le persone più giovani, rispetto alle generazioni precedenti, hanno avuto un contesto molto più ricco di opportunità.
Pensiamo solo alla dimensione internazionale: per una persona nata nel dopo guerra un viaggio era un avvenimento spesso unico nella vita. La generazione Erasmus ha potuto viaggiare per studio o per vacanza, visti i costi sempre più limitati, per ogni dove. È un esempio che racchiude le “porzioni di mondo” e le potenzialità che si possono intravedere per la propria vita, effettivamente molto differenti fra le varie generazioni.
Le giovani e i giovani di oggi chiedono molto al lavoro: di non essere totalizzante, di dare delle soddisfazioni, di aiutare a crescere senza annoiarsi. E ciascuno la chiede con modalità differenti. Sono loro la chiave di volta dell’unicità: le loro richieste, i loro interessi da cui poi scaturiscono dedizione o indifferenza, incentivo o demotivazione.
Difficile prevedere cosa ci riservi il futuro perché, al di là dei contesti organizzativi sta prevalendo una cultura del conflitto a tutti i livelli, che è proprio il contrario dell’ascolto e del dialogo. Occorre fermarsi a riflettere su quanto ogni persona possa contribuire, nel proprio quotidiano, a fare la differenza: nel costruire, nelle aziende e nella società che abitiamo, una cultura del rispetto e dell’inclusione che valorizzi ciascuna unicità.