Disabilità Formazione aziendale

Dal tabù al confronto: perché serve parlare di disabilità in azienda

Dal tabù al confronto

Per molte aziende, è giunto il momento di costruire percorsi formativi per “dare voce” all’impegno quotidiano di tante persone che vivono la disabilità o che se ne occupano in molti modi. Gli obiettivi a cui aspirano questi percorsi sono molteplici: da un lato, valorizzare le azioni già intraprese, essere di supporto e favorire lo scambio di buone prassi, consolidare le competenze delle persone; dall’altro, costruire una solida base per costruire azioni specifiche o strutturali, efficaci per rimuovere le barriere, “prevedendo” sempre più la disabilità nella propria organizzazione.

Le attività di formazione sulla disabilità rivolte a team aziendali, responsabili e figure HR sono una miniera di situazioni ed esperienze: le storie emergono in piccoli gruppi, spazi protetti dove le persone possono raccontare ciò che vedono, vivono o sentono riguardo alla disabilità nei contesti di lavoro. Tutte queste esperienze, spesso informali e non strutturate, rivelano un bisogno profondo: quello di parlare, di nominare, di condividere pratiche e criticità per costruire consapevolezza, linguaggio e cultura inclusiva.

La disabilità c’è, ma non si vede (e non si dice)

La disabilità è presente nei luoghi di lavoro, è nota ai team, alle figure HR, al team management, oltre, naturalmente, a chi la vive in prima persona. Eppure, raramente essa è oggetto di un pensiero strutturato. A volte, si conoscono situazioni specifiche e si riconoscono atteggiamenti e competenze, ma tutto resta “nel sottobosco”, senza cornici chiare di azione o cura. Il risultato è che molte energie, spesso già attive, non emergono, non si mettono a sistema, non si rafforzano a vicenda. E la disabilità, anche quando valorizzata come occasione di crescita, resta marginale nel discorso pubblico dell’organizzazione.

Dal tabù al confrontoDurante uno dei percorsi che Wise Growth ha realizzato su questi temi, è emerso un caso emblematico in aula: quello di un collaboratore, impiegato presso uno sportello bancario, con una disabilità motoria. Il suo dolore cronico e l’affaticamento causato dall’attività lavorativa erano poco visibili, se non invisibili, sia al cliente sia a chiunque non conoscesse la situazione della persona. Il team ha costruito nel tempo, insieme alla persona, un equilibrio silenzioso: ha imparato a leggere i segnali di fatica e a intervenire, con delicatezza, quando necessario. Un gesto semplice, ma pieno di consapevolezza.

Accanto a queste buone pratiche silenziose, possono emergere anche zone d’ombra. Come nel caso, accaduto in una grande compagnia assicurativa europea, in cui un manager non sapeva come affrontare le prestazioni insufficienti di un collaboratore con disabilità. Temendo di essere percepito come discriminatorio, ha evitato per lungo tempo di dare feedback sinceri, fino a esplodere in un confronto goffo ma autentico. Solo allora, paradossalmente, è iniziato un dialogo più trasparente e costruttivo. Si è trattato di un caso indubbiamente fortunato perché, spesso, confronti che nascono all’improvviso e senza un’adeguata preparazione, finiscono invece in incomprensioni o escalation.

Formarsi, non solo sensibilizzare

La disabilità in azienda non si affronta soltanto con eventi una tantum o campagne simboliche. Serve, invece, un lavoro capillare, continuo, paziente. La formazione – quella vera – è fatta di ascolto, confronto e condivisione.

Alcune indicazioni generali ci dicono che sono da preferire corsi in piccoli gruppi, a volte composti da responsabili o colleghe e colleghi che vivono direttamente situazioni complesse. La formazione, inoltre, funziona se ripetuta, estesa progressivamente costruita sull’esperienza e sul dialogo.

Le aule diventano, così, luoghi d’elezione in cui far emergere esperienze sommerse. Un responsabile racconta di aver visto una persona con disabilità trasferita nel proprio team da un’altra struttura, e di aver sofferto la totale mancanze di indicazioni e supporto. La formazione, in quel caso, ha aiutato il team a costruire un percorso condiviso, fatto di tappe progressive. In un altro caso, un manager si è trovato a guidare un team con 15 persone con disabilità (molte delle quali sorde), e ha deciso di imparare la LIS per comunicare meglio. Lo ha fatto da solo, come gesto di responsabilità e rispetto. Ha raccontato poi di ricevere molta energia dalla relazione con i collaboratori e le collaboratrici, avendo vissuto egli stesso una disabilità temporanea.

Le strategie “dall’alto”, poi, spesso non esplicitate né discusse, contribuiscono molto alla possibilità delle persone di includere e di essere incluse. In alcune organizzazioni, come segnalato durante alcuni focus group, si tende a collocare più persone con disabilità psichica all’interno di uno stesso team, col rischio di creare una sorta di “ghetto operativo”. Inevitabile che le persone coinvolte vivano un doppio disagio: da un lato il desiderio di sentirsi utili e valorizzate, dall’altro le difficoltà di relazione con colleghe e colleghi con scarsa formazione o disponibilità. Capita, inoltre, che la disabilità venga trattata come un problema logistico da risolvere, senza uno sguardo consapevole e attento alle risorse o ai talenti delle persone.

Dal tabù al confrontoMolte storie raccontano, però, l’impegno silenzioso e diffuso di collaboratrici e collaboratori: come la “microcomunità” di supporto nata spontaneamente in alcune realtà, dove responsabili e membri del team si aiutano a vicenda, si scambiano strategie e cercano insieme soluzioni. Un clima la cui efficacia, però, spesso si disperde quando si cerca di “scalare” la gestione della disabilità su un piano più ampio, senza adeguata preparazione e strategia.

E non mancano le delusioni: come nel caso di una cliente in carrozzina che si era recata in banca dopo aver ricevuto rassicurazioni sull’accessibilità, salvo poi scoprire che il montacarichi non funzionava perché la manutenzione era ferma da anni. La situazione era rapidamente degenerata portando la cliente a cambiare banca. Il manager aveva segnalato il problema, ma l’azienda – per limiti strutturali – aveva deciso, semplicemente e senza ulteriori riflessioni, di non intervenire. Si tratta di un caso emblematico in cui la mancanza di visione e responsabilità conducono a una perdita altrimenti evitabile, ma che soprattutto non permette all’organizzazione di utilizzare le situazioni concrete per crescere.

Per contro, in altri casi emerge una cultura del lavoro che trascende la disabilità: una manager racconta di vedere solo due tipi di persone, al di là della condizione fisica – chi ha voglia di lavorare e chi no. Una semplificazione? Forse. Ma anche un segnale di quanto la disabilità, in alcuni contesti, possa essere integrata pienamente nella valutazione professionale, se accompagnata da una gestione equa.

Wise Growth: far emergere, formare, costruire

Wise Growth è una società di formazione e consulenza che lavora da anni sul tema della disabilità nei contesti lavorativi. Lo fa accompagnando aziende di ogni settore attraverso progetti su misura, sempre costruiti ascoltando le esigenze reali delle persone coinvolte.

Wise Growth offre percorsi diversificati: dalla ricerca narrativa, che raccoglie le voci delle persone con disabilità in forma anonima, ai focus group e alle survey specifiche; dalla formazione per manager, team, HR, e facility fino alla consulenza per strutturare un piano di disability management. Ogni attività è pensata per creare luoghi dove si possa parlare, imparare, cambiare.

Nel 2024, il progetto “Ascoltare per includere” realizzato con il Gruppo Iren è stato premiato ai CEOforLIFE Awards. Un riconoscimento che ha confermato il valore di un approccio basato sull’ascolto autentico, sulla partecipazione e sulla costruzione condivisa di azioni concrete. Un metodo che Wise Growth porta avanti in ogni contesto: pubblico, privato, profit o non profit.

Dal tabù al confronto

Tutto ciò viene proposto sulla base di una convinzione: la disabilità in azienda non è un tema da importare “da fuori”, ma una realtà che già presente, che può diventare una risorsa se riconosciuta, compresa e valorizzata. Serve un lavoro competente, paziente e collettivo. Come quello che Wise Growth prova a fare, ogni giorno, al fianco di persone e organizzazioni.

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Se vuoi saperne di più sui nostri progetti e fissare con noi una call conoscitiva contattaci: info@wise-growth.it

Autore

Redazione Diversity-Management.it

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