Identità di genere LGBTQIA+

Scatti d’identità: vite transgender in Mostra

Scatti d’identità vite transgender in Mostra
Scritto da Bianca Iula

Durante i mesi di ottobre e novembre, si è svolta a Milano, presso il Padiglione d’Arte Contemporanea, la mostra fotografica “RI-SCATTI: chiamami con il mio nome“. È stata l’occasione per 16 persone transgender e di genere non conforme di raccontarsi attraverso la fotografia d’autore. Fotografe professioniste e fotografi professionisti le hanno coadiuvate in un corso della durata di tre mesi organizzato dalla onlus RI-SCATTI che ogni anno porta alla luce un tema sociale. Un periodo in cui hanno avuto la possibilità di apprendere nozioni tecniche su come raccontarsi al meglio, di confrontarsi e ricevere commenti sugli scatti che venivano realizzati di settimana in settimana.

La fotografia artistica come mezzo per appropriarsi della propria identità

La mostra, ad ingresso gratuito, ha attratto circa 10.000 visitatori e il ricavato della vendita del catalogo e delle fotografie esposte è andato alle due associazioni che hanno partecipato: ACET (Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere) e lo Sportello ALA Trans Milano. Oltre alle fotografie sono stati presentati dei video emozionali e una serie didattica curata dalla sottoscritta che spiegava in maniera semplice e completa i vari aspetti del percorso di affermazione di genere.

Scatti d’identità vite transgender in Mostra

Scatto realizzato da Bianca Iula

Chi ha curato la mostra ha selezionato le immagini tra 20.000 fotografie che sono state presentate. La disforia di genere porta la persona transgender a non sentire adeguato il proprio corpo rispetto all’identità di genere. Nonostante ciò, la maggior parte delle fotografie ritraeva parti del corpo nude: un modo per riappropriarsi della propria fisicità e del disagio interiore, ma anche per evidenziare i grandi risultati raggiunti, ad esempio mostrando il petto nudo e villoso degli uomini trans e il seno cresciuto e depilato delle donne trans.

Tantissimi scatti ritraevano la propria camera, vissuta come luogo sicuro dove sentirsi se stesse e se stessi, degli oggetti significativi, l’armadio con i vestiti e soprattutto le pillole e i farmaci che mostrano la terapia ormonale sostitutiva.

Rappresentazione e accettazione del proprio corpo

Tutte le persone che hanno partecipato hanno dovuto confrontarsi con le proprie paure e insicurezze. Nel mio caso, ho fatto un lavoro introspettivo ripercorrendo i quattro anni trascorsi dal mio coming-out. Ho cercato di mostrare visivamente alcuni elementi per me significativi, tra cui il mio fisico non così femminile come lo vorrei e piccoli cambiamenti occorsi nel tempo a cui ho dovuto abituarmi. Grazie a quest’esperienza ho rivalutato il mio corpo e forse adesso lo amo nonostante tutto: incompleta e viva.

Per scelta artistica, non c’erano né didascalie né titoli ad accompagnare le foto. Lo scopo della fotografia artistica, infatti, è quello di lasciare che chi osserva intuisca il significato di quanto rappresentato. A supporto dell’interpretazione era presente una piccola descrizione della persona a cui appartenevano le foto, senza specificarne il genere.

All’ingresso della mostra poi era presente un piccolo dizionario contente alcuni termini che è importante conoscere e utilizzare nel momento in cui ci si relaziona con persone e con la tematica transgender.

L’importanza di diffondere conoscenza sulla tematica transgender

Ogni percorso ha una sua direzione, ma è stato curioso poter vedere l’intrecciarsi di situazioni comuni a diverse persone quali la rettifica dei documenti, il misgendering, le tempistiche di accesso alla terapia ormonale sostitutiva e, infine, la felicità di avere affermato il proprio genere tanti ostacoli.

Una vera e propria rivelazione per molte persone è stata l’esistenza degli uomini transgender. Vederli raffigurati nelle fotografie ne ha permesso la conoscenza al fianco delle donne transgender, spesso conosciute purtroppo perché vittime di episodi di transfobia. La rappresentazione degli uomini transgender nei media è pressoché nulla, destino condiviso dalle persone non-binarie. La mostra è stata, anche in tal senso, una preziosa occasione di dare loro visibilità mostrando ad esempio, contrariamente a quanto pensano molte persone, che la loro è quasi indistinguibile da quella degli uomini cisgender.

La strada verso l’uguaglianza

La visita terminava in una sezione in cui erano presenti ritagli di giornali e riviste degli anni ’70 che mostravano un contesto storico e culturale pervaso da grande transfobia. All’epoca, infatti, dominava un’immagine delle donne transgender molto negativa che portava, ad esempio, a confonderle con il mondo dei travestiti. È utile ricordare che, in quegli anni, per un uomo era illegale andare in giro in abiti femminili, pena l’arresto.

Sicuramente, uno dei meriti della mostra “RI-SCATTI: chiamami col mio nome” è stato quello di permettere di constatare come, negli ultimi decenni, vi sia stato un leggero miglioramento della condizione delle persone transgender di pari passo con l’evoluzione della società. Eppure, ancora oggi, a causa della carenza di leggi a tutela di questa categoria, sono ancora molti i diritti negati rispetto al resto della popolazione.

scatti d'identità

Serie di scatti realizzati da Bianca Iula

Alcuni scatti sono visibili sulla pagina Instagram dell’associazione RI-SCATTI oppure all’interno del mio blog, dove racconto la mia transizione e fornisco informazioni sul percorso di affermazione di genere femminile.

Autore

Bianca Iula

Bianca Iula è programmatrice web di siti di e-commerce.
Donna transgender, è divulgatrice di tematiche trans negli ambiti del mondo del lavoro, del diversity management, del settore medico scientifico e della medicina di genere.
Nel suo blog ”Simiula” racconta la sua transizione.

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