Grandangolo

Io ho ragione, tu hai torto!

È sempre stupefacente osservare come gli schieramenti prevalgano sulla elaborazione.

Soprattutto oggi che i social ci hanno messo a disposizione transazioni comunicative veloci, spesso anonime o supposte tali, che quindi sollecitano reazioni immediate, è evidente la quantità di “schieramenti”, convinzioni granitiche a cui rispondono persone altrettanto convinte. Nel periodo pasquale girava un post sui social a difesa degli animali, il cui commento era “se non condividi, hai dei problemi!”.

Al di là delle singole convinzioni è interessante osservare il fenomeno e la dinamica che ne è la causa, perché questo continuo confronto aspro, al limite del litigio, non serve mai a nessuno, se non a procurare sfoghi immediati di natura emotiva.

Dal punto di vista dell’osservazione si tratta di fenomeni di immedesimazione in un gruppo denominati “in-group”, che portano le persone a riconfermare a vicenda la propria visione del tema (group-think).

Una dimensione di appartenenza che fa perdere l’approccio critico, o quantomeno, l’attenzione al punto di vista altrui.

Un interessante esperimento è stato messo in atto da Jeremy Frimer e colleghi della Winnipeg University: ai soggetti venivano dati 7 $ per leggere argomentazioni a favore della propria tesi riguardo il matrimonio tra persone dello stesso sesso; la ricompensa arrivava a 10$ se la lettura comprendeva anche ragionamenti contrari alla propria posizione. Un vantaggio immediato, solo per leggere opinioni diverse dalle proprie. I due terzi degli interpellati hanno risposto negativamente alla proposta. Quindi “resto della mia opinione e non mi interessa ascoltare quella altrui, nemmeno se ci guadagno qualcosa!” Interessante e, mi si consenta, deprimente.

Una spiegazione di questo comportamento dalle conseguenze non facili è tentata da Hugo Mercier e Dan Sperber in un libro del 2017 “The enigma of reason”.
La loro tesi è che, da un punto di vista evolutivo, all’epoca in cui i nostri antenati erano cacciatori e raccoglitori, vi era una fortissima necessità di cooperare in piccoli gruppi. Questa appartenenza era importante, molto di più che ogni riflessione circa l’arricchimento delle conoscenze e il prendere decisioni migliori. In altre parole, più che ragionare era importante affermare l’identità del gruppo e la propria posizione all’interno di esso.

Molti sono gli studi che sono andati nella medesima direzione: ad esempio Dan Kahan ha svolto una ricerca chiedendo una risposta asettica sull’efficacia di una certa crema, con un piccolo problema di matematica da risolvere. Quando allo stesso campione è stata formulata una domanda analoga, ma “politicizzata” (che chiedeva quanto l’abolizione delle armi potesse frenare il crimine, tema molto caldo e dibattuto in America) i risultati non erano più “obiettivi”, ma legati alle appartenenze dei soggetti: favorevoli o contrari alla limitazione delle armi.

Ci troviamo quindi di fronte ad un comportamento ancestrale che, come molti altri, non avrebbe più ragione di esistere nel mondo contemporaneo. Di fatto però – nel contesto attuale – ritroviamo ancora queste reazioni, che invadono le persone portandole ad agire comportamenti non solo inefficaci, ma deleteri.
La progressiva complessità che gli individui si trovano ad affrontare – sia a livello organizzativo che sociale – è tale che sarebbe necessaria tutta la lucidità possibile. Invece, come “scimmie nude”, per dirla alla Desmond Morris, continuiamo ad agire secondo schemi non più attuali.

Una situazione disarmante, ma che può essere affrontata con il ragionamento. Certo non è un compito facile, ma nella scuola e nelle attività formative che quotidianamente mettiamo in campo è necessario condividere la conoscenza di questo “impulso”, per raggiungere una consapevolezza che possa portare a riflessioni, e quindi decisioni, più efficaci.

Questa non è l’unica area in cui operare. Si pensi, ad esempio, agli unconscious bias: quelle scelte che facciamo di primo acchito, senza riflettere, e che sono vere e proprie deformazioni dei ragionamenti. Il campo di apprendimento è vasto: dal tempo della caccia e della raccolta abbiamo fatto molti passi avanti, e altri ne faremo. Il vero problema è l’elogio dell’ignoranza, che qualcuno purtroppo sta proponendo e che ci riporterebbe indietro.

Credo che l’evoluzione sia un processo inarrestabile, per questo dobbiamo fare tesoro degli studi che ci aiutano a conoscerci e ad avere consapevolezza dei nostri processi mentali.

 

Autore

Cristina Bombelli

Fondatrice di Wise Growth, si è occupata di Diversity & Inclusion dagli anni ‘80.

È stata professoressa presso l’Università di Milano-Bicocca e per anni docente della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi dove ha fondato il primo centro studi di ricerca sul tema. È stata visiting scholar presso l’Università di La Verne in California.
È pubblicista e autrice di numerosi articoli sui temi del comportamento organizzativo e della gestione delle diversità. È stata presidente della fondazione “La Pelucca” onlus, dedicata ad anziani e disabili. È certificata IAP di THT (Trompenaars Hampden – Turner) per la consapevolezza interculturale, executive coach con Newfield e assessor con Hogan.

Ha pubblicato numerosi libri tra i quali i più recenti: Alice in business land. Diventare leader rimanendo donne, 2009; Management plurale. Diversità individuali e strategie organizzative, 2010; Un manager nell’impero di mezzo, 2013; Generazioni in azienda, 2013; Amministrare con sapienza, la regola di San Benedetto e il management, 2017; La cultura del Rispetto. Oltre l’inclusione, 2021.

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