Bias & Stereotipi Diversity and Inclusion Grandangolo

Chi ha ucciso il maschio Alfa?

Chi ha ucciso il maschio Alfa?

Anni di cultura basata su un unico modello vincente, il MBEB, sono un limite alla creazione e promozione di contesti lavorativi equi ed inclusivi.

Spoiler Alert
Attenzione! L’articolo contiene spoiler della serie tv “And Just Like That”.

La caduta del MBEB

Da anni è oramai evidente come i bias costruiti su anni di cultura basata su un unico modello vincente, il maschio alfa bianco caucasico di mezza età – conosciuto nel mondo social anche come MBEB (Maschio Bianco Etero Basic) – siano uno dei principali limiti alla creazione di contesti lavorativi diversi, equi ed inclusivi.

Chi ha ucciso il maschio Alfa?


Il “crollo” di un certo immaginario cinematografico e televisivo appare in qualche modo utile seppur forzato e (per me) doloroso.

Che cosa sta succedendo? Negli ultimi tre mesi ben due dei più noti e rappresentativi modelli di MBEB paradigmatici della sicurezza in sé stessi, vincenti nel loro settore e naturalmente grandi seduttori, sono stati letteralmente “fatti fuori” dall’immaginario collettivo di almeno due generazioni. O almeno dal mio.

Per me, che amo talvolta definirmi una “ragazza degli anni ’80 cresciuta con Top Gun e Dirty Dancing”, è stato un duro colpo. Pur comprendendone pienamente le ragioni da un punto di vista di marketing ed equity dei prodotti cinematografici e televisivi che rappresentano, sono rimasta piuttosto scioccata.

Sparizioni strategiche?

Le ragioni di queste “sparizioni”, almeno dal mio punto di vista, sono chiare: entrambi rappresentano (naturalmente in modo estremizzato e cinematografico) l’unico modello vincente ed aspirazionale, in qualche modo responsabile dell’esclusione di altre culture, generi, generazioni, orientamenti sessuali e naturalmente altre abilità. Questo non è più sostenibile.

Chi ha ucciso il maschio Alfa?

Con Bond la strategia è stata assolutamente didascalica: la good company è “la posizione” di 007, assegnata ad una black woman più giovane, allineata e competente.


Bad company è il “personaggio” Bond, che non potrebbe certamente più permettersi di corteggiare esplicitamente Miss Moneypenny o fare battute tanto fulminanti quanto uncorrect. Viene così facilmente ucciso da uno dei meno “cattivi” di sempre.

Con Mr. Big l’eliminazione dal reboot di “Sex and the City” è più rapida ma non meno violenta.
Big viene stroncato da un infarto mentre si allena sulla sua, ovviamente esclusivissima, Peloton.

D’altronde come poteva essere rappresentato e che cosa poteva ancora inventarsi, dopo 15 anni di matrimonio, l’uomo più imprendibile di NYC senza intaccare la sua aurea di “uomofortemaromanticochesasemprecosadireecosafare”?
Inoltre, la sua presenza come “marito” avrebbe impedito l’accettabilità sociale della naturale attitudine a flirtare del personaggio di sua moglie Carrie.
Così abbiamo perso anche lui.

Costruire un immaginario più inclusivo
Chi ha ucciso il maschio Alfa?

Da qui il cruccio che mi sta perseguitando: la DEI ha ucciso James Bond e Mr. Big?
E quindi io che mi occupo da anni e con grande partecipazione di sostenere proprio la Diversità, l’Equità e l’Inclusione sono in qualche modo responsabile di queste “morti”?

Beh, la risposta è probabilmente sì, ma forse sono state delle “morti necessarie” per costruire la strada verso una possibile equità.
Per costruire altri immaginari possibili, diversi ed inclusivi a cui ciascuno possa aspirare ed in cui immedesimarsi.

 
 
Un addio per migliorare

Un sacrificio doloroso ma utile, insomma.

Utile per le donne, che devono accettare che (al di là dei film) è infantile ed inutile sperare che da qualche parte ci sia un Bond o un Big a salvarle o almeno a farle divertire, ma soprattutto che ne sappia più di loro, aprendo loro la strada, riconoscendo il loro valore. 
Se desiderano qualcosa personalmente o professionalmente è importante che decidano di andare a prenderselo da sole, senza l’aiuto di un uomo.

Utile per gli uomini, perché si liberino dal costrutto sociale che li può portare a pensare di dover essere sempre forti, sicuri, virili. Di dover avere qualcuno di più fragile o debole da salvare, che dia loro senso e sia loro riconoscente per sempre.

Mi auguro solo che nel nome della DEI non debbano essere sacrificati altri personaggi che nella mia gioventù sono stati utili, nonostante i loro difetti, a darmi l’energia (certamente narcisistica) per raggiungere gli obiettivi che desideravo.

Autore

Lucilla Bottecchia

Laurea in Psicologia presso l’Università di Padova, psicoterapeuta. Supporta gli individui e le organizzazioni in materia di diversità e inclusione, cercando la convergenza della realizzazione individuale con gli obiettivi organizzativi.
È certificata IAP di THT (Trompenaars Hampden – Turner) per la consapevolezza interculturale. Ha conseguito entrambi i diplomi Somatic Coaching (Leadership in Action) di Strozzi Institute.

Per oltre 15 anni ha lavorato nel marketing come Marketing Research Director a livello italiano ed internazionale. È stata anche docente a contratto presso il Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi e SDA Bocconi Business School di Milano.

Coautrice di “Maternità, lavoro, vita” in Girelli L., Mapelli A. (a cura di), “Genitori al lavoro. L’arte di integrare, figli, lavoro, vita” GueriniNext, 2016. Contributor in “La Cultura del Rispetto. Oltre l’inclusione” di Bombelli M.C., Serrelli E., GueriniNext 2021.

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