Cross culture

“Mente Multiculturale”: istruzioni per l’uso

“Mente Multiculturale”
Scritto da Massimo Lupi
Il tema della multiculturalità sta diventando sempre più strategico per le aziende: siamo passati dalla fase della comprensione a quella dell’interazione; la mente multiculturale è la premessa per affrontare la complessità legata al mantenimento della performance organizzativa con i temi dell’integrazione culturale.

Affrontando la questione della multiculturalità nelle aziende ho avuto modo di rendermi conto che il tema dell’interazione con culture diverse sta diventando sempre più strettamente connesso al successo dell’organizzazione stessa.

Siamo passati dalla fase della “conoscenza” delle caratteristiche delle diverse culture alla fase delle interazioni: è il tema delle differenze e delle integrazioni culturali. L’entrare in relazione con altri e – nelle aziende – l’entrare in relazione con altri con finalità legate al “business” (quindi con un approccio legato alla pragmatica del successo organizzativo) amplifica la percezione delle differenze: emerge quindi la natura relazionale delle differenze dove le diversità culturali non sono generate dall’isolamento, bensì dall’interazione e dagli scambi. Nelle aziende durante i meeting e gli incontri il confine culturale diventa frontiera, luogo di passaggio, di incontro o scontro. È la soglia attraverso la quale si entra in contatto con l’altro.

Da Italiano che ha lavorato in team multinazionali mi sono imbattuto in situazioni in cui la mia appartenenza culturale si rivelava a volte un vantaggio (“Ah, voi italiani creativi!”), altre uno svantaggio (“Ah, voi italiani sempre in ritardo!”); mi trovavo in situazioni di scambio in cui erano più probabili e facili i processi d’importazione ed esportazione di modelli culturali di vita e di pratiche quotidiane in una condizione d’influenza reciproca: sono stato testimone diretto di un collega tedesco che, arrivato in ritardo ad un meeting, mi ha guardato e mi ha detto ridendo “Non è stato così male, posso sopravvivere ai ritardi”.

Mi sono accorto in presa diretta di quanto la frontiera culturale sia dinamica e mobile, in continuo movimento, un luogo a volte in bilico fra azione difensiva e offensiva. Questi atteggiamenti mentali spesso provocano diffidenza e circospezione, cioè “prevenzione” cognitiva e affettiva verso la persona che non condivide i nostri stessi parametri culturali. In concreto, ho notato come nella mia vita professionale l’appartenenza culturale fosse un fattore che guida la scelta dell’assegnazione dei diversi ruoli in un team, con risultati non sempre eccelsi: le persone che devono occuparsi, ad esempio, di definire un processo saranno generalmente nord europei e chi invece sarà deputato alla gestione dei piani di comunicazione interna sarà invece più facilmente europeo-mediterraneo.

Ciò accade quando l’appartenenza culturale sovrasta le caratteristiche e le capacità personali e quindi l’identità individuale si perde a vantaggio di una più rassicurante identità culturale.

“Mente Multiculturale”Ciò che maggiormente mi stato utile nel corso della mia vita professionale è stato il modello della “Mente multiculturale”: una mente che è riuscita ad appropriarsi dei modelli culturali appartenenti a culture diverse ed è in grado di impiegarli in modo flessibile, in funzione degli indizi contestuali e contingenti, mediante il processo del “cultural frame switching”.

La mente multiculturale è quindi:

  • versatile: in grado di declinarsi efficacemente in riferimento a specifici contesti culturali (molteplici lenti interpretative)
  • aperta e complessa: capace di far fronte a diversi modelli di vita culturalmente situati (concezione pluralista dell’esistenza)
  • al plurale: sa interagire efficacemente con persone provenienti da culture diverse
  • capace di generare competenza comunicativa all’interno di rapporti interpersonali multiculturali

La mente multiculturale non si forma semplicemente attraverso la trasmissione di conoscenze teorico-dichiarative relative al ‘come si comportano e cosa pensano gli individui di un’altra cultura’; si forma invece proprio attraverso il ‘fare esperienze concrete in contesti culturali diversi dai propri’, attraverso un processo di “creolizzazione”.
E proprio qui sta il passaggio dalla fase della conoscenza delle caratteristiche delle diverse culture alla fase delle interazioni.

Autore

Massimo Lupi

Attualmente professore a contratto di Organizational Development and Change presso l’Università di Milano Facoltà di Scienze Politiche e Sociali e Adjunt professor of Organizational Behavior at MIP Graduate business school Politecnico of Milano.
Laureato in Psicologia ad Indirizzo del Lavoro e Organizzazioni presso l’Università di Padova e iscritto all’Ordine degli Psicologi della Regione Lombardia ha maturato esperienze come responsabile formazione, selezione e sviluppo in Beirsdorf Italia, è stato responsabile europeo formazione e sviluppo in Sony Europa a Berlino e responsabile a livello mondiale dei progetti nell’area Talent Management in Microsoft Corporation a Redmond (Seattle – Stati Uniti).

Dal 2010 è consulente di diverse realtà imprenditoriali, occupandosi soprattutto di formazione in area leadership, gestione risorse umane e progetti nell’area del Talent Management, Diversity Management. E’ certificato IAP di THT (Trompenaars Hampden- Turner) per la consapevolezza interculturale.

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