Ciao, Hello, 你好, Habari, Kia ora, … Come potete aver già intuito, questi sono i diversi modi che le persone hanno di salutarsi, in base al proprio Paese, la propria cultura, lingua e tradizione.
Vi siete mai soffermati a pensare che il saluto può dimostrarsi un elemento di “divisione” e incomprensione, tra persone di popoli differenti, che può portare a escludere anziché includere? Ma andiamo a conoscere più nello specifico questi saluti con i loro rituali.
Un semplice Ciao
È risaputo, per stereotipia e generalizzazione, che gli italiani sono un popolo caloroso e accogliente, che tende a gesticolare accompagnando i discorsi verbali. Infatti, noi tendiamo a salutare amici, parenti e persone che conosciamo, con abbracci e altri gesti affettuosi in base al grado di confidenza. Il tutto pronunciando una parola così – apparentemente – semplice: “Ciao!”. Se passiamo ai contesti formali, come l’ambito lavorativo, invece, già le formule di saluto cambiano: solitamente si ha una stretta di mano, accompagnata da un “Salve”, o da un “Buongiorno/Buonasera”. Notiamo, quindi, che nella cultura italiana linguaggio verbale e corporeo si supportano. Queste tendenze comportamentali sono similari, generalizzando, a quelle europee – magari con una comunicazione non verbale meno marcata. Simili a questi saluti europei, sono quelli americani.
D’altronde, l’America e l’Europa sono la parte occidentale del mondo, di conseguenza è normale riscontrare delle similitudini. Sui saluti formali non ci sono grandi differenze, per quanto riguarda invece l’informalità, è possibile notare come americani e italiani siano culturalmente abbastanza vicini, perché anche loro si salutano con contatti fisici più coinvolgenti e marcati: ad esempio “battendo il cinque” o con il “bump” (battendo il pugno). Ma usciamo dai confini continentali di Europa e America e spingiamoci oltre. Viaggiamo e arriviamo in Oriente, in Cina e Giappone, luoghi tanto apprezzati dagli occidentali per via della loro cultura e filosofia zen, dello yin e dello yang, dell’equilibrio.
In queste zone del Mondo, le persone tendono a evitare di toccarsi e, sia nei momenti formali che in quelli informali, uomini e donne si salutano sempre nello stesso modo: stando l’uno di fronte all’altro e inchinandosi in avanti; durante l’inchino, solitamente le donne devono porre le mani in avanti congiunte, mentre gli uomini devono tenerle tese lungo il corpo. Questa tendenza degli asiatici di non toccarsi è coerente con la loro cultura e tradizione, legata alla cura e pulizia del corpo. Spostiamoci, non andando troppo distanti, in Oceania, in particolare osserviamo il saluto della tribù dei Maori, la più numerosa del continente. Le persone di questo gruppo usano salutarsi con “l’hongi”, una pratica molto “intima” perché consiste nell’unire le fronti e sfiorarsi i nasi a vicenda, con movimenti leggeri, verso sinistra e destra.
Questo è il saluto che più di tutti mi affascina perché ha un significato molto profondo: la vicinanza fisica simboleggia l’incontro tra le due anime attraverso l’unione dei due respiri. Infine, torniamo geograficamente un po’ più vicini a noi: in Africa e, più nello specifico, in Kenya. Qui le persone tendono a salutarsi con un comportamento che richiede uno sforzo fisico e che – forse – noi europei considereremmo un po’ inusuale: ci si saluta con un salto; ma non solo, nel momento in cui le persone si salutano saltando, è come se dessero il via a una sfida a chi salta più in alto. Inusuale ma, divertente.
È possibile che un saluto si faccia barriera culturale?
Dopo aver compiuto questo excursus di saluti, passando per i cinque continenti e per culture e tribù differenti, è necessario andare al cuore di questo articolo: il saluto come muro (elemento di esclusione) o come ponte (inclusione).
È strano poter pensare che un gesto e un’espressione così apparentemente semplice, che tendiamo ad apprendere fin da piccolini, possa costituire una barriera culturale, ma di fatto potrebbe diventarlo. Due persone appartenenti a popoli, culture e consuetudini differenti possono non capire, e certe volte anche fraintendere, che un gesto come un’alzata di mano che svolazza, accompagnata da una parola, siano rappresentazione di una formalità. Il problema è che oggi molto spesso, ancor più di frequente rispetto al passato, gente di Paesi e continenti diversi s’incontra per motivi differenti – lavorativi, sociali, viaggi, guerre, …-, perciò cosa poter fare in queste situazioni? Semplicemente la risposta è contenuta in due parole chiavi: rispettare e informarsi.
Sì, perché ogni qual volta si compiono viaggi volontariamente, che ci portano fuori dalla propria “confort zone”, è necessario informarsi preventivamente sulle abitudini, tradizioni e rituali tipici della meta in cui ci si sta recando. In primo luogo, per poter inserirsi bene all’interno di un contesto culturale di per sé nuovo, sentendosi così a proprio agio e non degli “estranei” e, in secondo luogo, l’informazione diventa un modo per rispettare gli aspetti culturali peculiari di una popolazione. E perché non partire proprio da un saluto? Per costruire ponti e non muri, per entrare a far parte di una cultura cross-mediale, per essere aperti mentalmente dal punto di vista etnico, la soluzione migliore è porsi in una posizione di ascolto, rispetto e apprendimento.
Nuovi cittadini cosmopoliti
Il nuovo millennio è sinonimo di globalizzazione: qualsiasi persona può spostarsi in punti diversi e lontani fra loro del globo, ci si può addirittura allontanare senza alzarsi dal divano – pensiamo all’online e al superamento dei limiti spazio-temporali; di conseguenza è necessario oggigiorno passare da una “exclusive culture” a una cultura “all inclusive”.
Una cultura della diversità (come valore aggiunto), dell’inclusione e dell’equità (DEI), che vada a trasformare le frontiere in ponti di passaggio, abbatta muri, valorizzi le persone in quanto uniche nella loro personalità e individualità e, infine, che porti il saluto ad essere quella zona di confine facilmente valicabile.
Ma come poter far sì che tutto ciò sia realizzabile? Attraverso l’educazione all’interculturalità. Il potere dell’educazione, della formazione e dell’informazione è proprio questo: rendere le persone consapevoli, coscienti e aperte all’inclusione, in grado di superare alcuni bias cognitivi e stereotipi, per sviluppare un mindset libero da schemi mentali orientati alla paura della diversità.Solo così potremo costruire una cultura caratterizzata da abitudini e convenzioni che non siano la conferma di un’unica realtà, coincidente con la propria circostante, ma di una realtà collettiva e, appunto,cosmopolita.
Bibliografia: