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Inclusione in Cina: dal passato al presente quale continuità e quale futuro?

Il tema dell’inclusione, come molte “parole d’ordine” manageriali che nell’Occidente sono elemento quotidiano, deve essere declinato in modo particolare quando si prende in considerazione l’Oriente e in particolare la Cina.

La storia

Qualche storico ha affermato che la storia non si ripete, ma che i parallelismi sono possibili.
Se noi prendiamo in considerazione gli ultimi due secoli di storia troviamo molte analogie ed affinità nell’alternanza di giudizio e di prospettiva nelle relazioni multiculturali.
La Cina per tradizione millenaria è sempre stato un territorio-Impero chiuso agli stranieri con pochissime eccezioni: Marco Polo, Matteo Ricci, i fratelli Castiglioni per quanto concerne gli italiani; molti i gesuiti spagnoli e francesi.

La prima linea di demarcazione era stata posta dopo la prima guerra dell’Oppio con il Trattato di Nanchino del 1842 e soprattutto dopo la seconda con il Trattato di Tianjin del 1858: entrambi i trattati prevedevano che l’Impero cinese di fatto fosse obbligato ad accettare gli stranieri in casa propria.
Una situazione quindi di apertura obbligata a cui i cinesi si sono sottomessi non riuscendo a rispondere adeguatamente a questa prova di forza.

inclusione in cina

Negli anni Venti sino alla Lunga Marcia e alla costituzione della Repubblica Popolare Cinese, città quali Shanghai erano diventate centri attrattivi sia sotto il profilo commerciale ed industriale sia di relazioni culturali e politiche.

Successivamente, per circa mezzo secolo sino alle prime aperture politiche internazionali di Deng Xiaoping, il Paese è stato sostanzialmente chiuso con l’apogeo massimo durante la Rivoluzione culturale degli anni Settanta.

Questo breve excursus, che mostra la storica difficoltà di apertura della Cina all’Occidente, è da tenere in considerazione per comprendere la situazione che si sta venendo a creare in questo ultimo periodo dopo un trentennio sufficientemente aperto e compatibile.

I rapporti con le persone straniere

Se pensiamo all’accettazione di persone straniere, primo ed importante sintomo di una cultura inclusiva, veniamo quindi da un retroterra molto poco favorevole che è sostanzialmente cambiato con le quattro modernizzazioni di Deng iniziando un periodo di interesse per il diverso, di costruzione di progetti in collaborazione e di sinergie possibili.

Ma i cambiamenti nel monto attuale sono rapidi e, per chi vive da vicino la realtà cinese, nuove ombre si stanno profilando all’orizzonte.

Molte sono le cause possibili: certamente la pandemia che ha sradicato e modificato certezze, ma anche le strategie dei diversi attori nel panorama geopolitico, in particolare gli Stati Uniti, di fatto si sta assistendo ad una progressiva chiusura che sembra ricordare tempi passati, con il dubbio che in realtà non fossero mai stati completamente superati.

Tiziano Terzani nel suo libro “Un’idea di destino”, scritto a distanza dalla sua lunga permanenza in Asia ed in particolare in Cina, sottolinea: ”Ero andato in quel paese con enorme curiosità e voglia di capire, ho cercato di fare amici locali, di viaggiare con loro, ma con ciò non ho fatto che deviare da quello stretto sentiero che già al tempo di Matteo Ricci, i cinesi pur di restare sulle loro e non farsi riconoscere, assegnavano allo straniero”.

Questo pensiero, elaborato in tempi non sospetti, certamente avrà stupito chi agli inizi degli anni duemila vedeva oggettivamente porsi le basi di collaborazioni economico-sociali o di relazione con un boom di matrimoni misti prevalentemente tra donne cinesi e mariti stranieri.

Guochao
inclusione in cina

Oggi quelle parole profetiche si stanno avverando in particolar modo per la generazione dei Millenials che apparentemente aveva dimostrato un’apertura perché nativa digitale: oggi invece anche il suo comportamento relativamente al consumo ha preso la strada ricordata da Terzani.

Infatti, le multinazionali del retail quali H&M soffrono e devono affrontare brand cinesi come Li Ning che ha incrementato nei primi sei mesi di questo anno il 187% nei profitti netti.
Questo successo deriva non solo da una identificazione comune del brand  sui diversi social ma anche da una reazione denominata ”guochao” che trova fondamento nelle scelte di H&M di non utilizzare il cotone dello Xingjiang.
Guochao letteralmente “onda nazionale” è un mix di design contemporaneo e di richiamo della tradizione culturale cinese.
È un fenomeno importante che attinge in generale nel sentiment delle nuove generazioni e permea il mondo del retail. Alcuni brand stranieri quali Dior e Balenciaga hanno cercato di creare una mutua visione per ampliare la loro rete di consenso.

Un modello per il futuro?

Le recenti dichiarazioni del Presidente della Camera di Commercio Europea in Cina Joerg Wuttke in occasione dell’annuale presentazione del Position Paper 2021 sono solo il corollario del quotidiano ma alimentano interrogativi sul futuro in questo Paese della presenza di stranieri.

“Nel 2020 erano presenti più stranieri in Lussemburgo che nell’insieme di Shanghai e Pechino”.

inclusione in cina

Il Covid ha sicuramente aiutato a normare decisioni restrittive nei confronti degli stranieri fondate sul concetto di tolleranza zero, agli antipodi di quanto invece, a fatica, si sta cercando di realizzare in Europa ed in particolare in Italia.

Le due tesi nella risoluzione del problema pandemico si contrappongono.
Nella visione del Governo centrale cinese la filosofia deriva dal contrasto tra uomo e natura con la volontà di vittoria dell’uomo sulla natura, in questo caso rappresentata dal virus.
In Europa si cerca la coesistenza con la consapevolezza che questo accadimento non scomparirà in breve tempo.
Questa visione antagonista ha come conseguenza una serie di limitazioni sulla mobilità delle persone creandone di fatto la dipartita.

A ciò si deve aggiungere un regime fiscale in trasformazione con una penalizzazione per gli stranieri residenti: il tutto inquadrato nella cornice geopolitica che precipuamente evolve ogni giorno nelle relazioni tra Cina e resto del mondo.

La domanda che viene spontanea è se questo divenire è un qualcosa di contingente oppure, seguendo anche la dottrina politica in atto è il modello per il futuro.
Ed è la risposta che si cercherà nel futuro, per trovare strade di collaborazione che non riportino al Cina ad una chiusura poco utile sia per sé che per il mondo intero.

 

Autore

Marco Leporati

Nato ad Arona (NO) nel 1956, è attualmente Managing Director della Savino Del Bene Cina dove vent’anni fa ha aperto il primo ufficio di rappresentanza.
Laureato in Giurisprudenza nel 1980 presso l’Università Statale di Milano, inizia il proprio percorso professionale nella Società Pneumatici Pirelli alla Direzione del Personale. Dopo qualche anno, al fine di avere un’esperienza in una multinazionale straniera, entra in Burn& Philp, società australiana nel settore alimentare e farmaceutico. Ed è proprio con questa società che incomincia a creare i contatti con il mondo cinese. L’esperienza successiva è stata a Pechino in Saima Avandero, allora leader in Italia nel settore della logistica e dei trasporti per approdare poi in Savino Del Bene a Shanghai nell’anno 2000.
Sin dai primi anni è stato membro delle Associazioni industriali di categoria in Italia ed in Cina nelle Camere di Commercio Italiana, Europea ed Americana. Ha collaborato alla redazione di articoli sul Sole 24 ore e dal febbraio 2019 scrive settimanalmente sul sito online di Class Editore relativamente a tematiche afferenti la Cina per le quali ha partecipato spesso a seminari ed incontri in qualità di speaker.

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