Diversity

Bias e scorciatoie cognitive: istruzioni per l’uso

Bias e scorciatoie cognitive
Scritto da Alessia Alò

Nella vita di tutti i giorni, molto più spesso di quel che crediamo, siamo soliti utilizzare delle scorciatoie per prendere decisioni, dare giudizi, risolvere problemi e in definitiva rapportarci col mondo.

Queste scorciatoie sono per la maggior parte corrette e ci consentono di interpretare la realtà in maniera rapida ed efficiente. Tuttavia, all’interno di questo processo, possiamo incappare in quelli che vengono chiamati unconscious bias e perciò giungere a delle conclusioni errate sul mondo che ci circonda.

Soprattutto quando dobbiamo prendere decisioni in condizioni di incertezza è probabile che la razionalità umana venga ostacolata proprio da queste distorsioni del giudizio.

Rimuovere ed evitare del tutto i nostri bias è impossibile, è molto importante invece prenderne consapevolezza al fine di ridurli e saperli gestire nel modo più adeguato.

Per capire meglio di cosa si tratta e rapportare i bias alla nostra esperienza vorrei di seguito esplorarne due, molto frequenti e a volte correlati tra loro:

  1. Bias ingroup-outgroup: è la tendenza a valorizzare il proprio gruppo/categoria di appartenenza e a discriminare o considerare peggiori gli altri gruppi/categorie. Siccome è probabile che tali credenze col tempo diventino reciproche, ecco che siamo di fronte a un circolo vizioso che spesso conduce a convinzioni rigide e a volte difficili da scardinare.
    Inoltre tendiamo ad accentuare le differenze tra esemplari di diverse categorie (sovrastima intercategoriale) e a minimizzare quelle tra gli appartenenti a una stessa categoria (sottostima intercategoriale). Questo spesso accade anche all’interno delle organizzazioni: ad esempio team marketing versus team produzione etc.
    Nelle organizzazioni le motivazioni che portano i gruppi a cadere in questo tipo di bias sono molteplici. E’ stato dimostrato che il bias ingroup-outgroup aumenta l’autostima del gruppo, favorisce la coesione interna e contribuisce a mantenerne la distintività: i membri di un gruppo sono portati a valorizzare ciò che differenzia il proprio gruppo dagli altri e a percepirsi, tra loro, più simili di ciò che sono realmente. Ma se esistono dei migliori devono necessariamente esistere dei peggiori: l’altro gruppo, quindi, viene escluso, emarginato, isolato. Ciò comporta degli effetti negativi quali pregiudizi, discriminazioni e bias a favore dell’ingroup; inoltre può sorgere un ulteriore problema per l’organizzazione: se vengono accentuate le differenze fra i gruppi, gli individui opereranno sempre più frequentemente nel livello intermedio (che prende in considerazione il proprio gruppo in confronto agli altri), tralasciando il livello superiore d’identificazione con l’organizzazione.
    Per questi motivi, per le organizzazioni, gestire le dinamiche intergruppo ed occuparsi di diversity e inclusion dovrebbe rappresentare, come sempre più spesso accade, una priorità e un importante opportunità di crescita.
  2. Autoconvalida: è un altro bias molto frequente, spesso può esser correlato al bias ingroup-outgroup; una volta che ci siamo fatti un’idea sulle cose, sulle persone o sui gruppi, tendiamo a conservarla nonostante possano intervenire delle prove contrarie. E’ un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione e attribuire maggiore credibilità a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono.
    In che modo accade ciò? ecco alcune strategie esemplificative:
  • Assunzione selettiva di informazioni. Continuerò a pensare che il mio team è il migliore se ignorerò completamente le critiche e andrò a ricercare solo i feedback positivi.  O ancora: Resterò dell’idea che la mia nuova auto è un ottimo acquisto se leggerò solo gli articoli che ne parlano bene.
  • Reinterpretazione dei fatti. Penso che Giovanni sia una persona egoista. Un giorno Giovanni mi fa un favore. Resto della mia idea e anzi mi chiedo: chissà che cosa vorrà ottenere da me? quale sarà il suo vero scopo?
  • Resistenza al cambiamento. Spesso tendiamo a mantenere lo status quo e a irrigidirci nelle nostre convinzioni,  chiudendoci ad altre possibili interpretazioni dei fatti. La parte più dannosa di questa situazione è l’ingiustificata supposizione che una scelta diversa potrà far peggiorare le cose.
  • Profezia che si autodetermina. Dato che ci relazioniamo con modi che riflettono le nostre impressioni, giudizi e aspettative, spesso cerchiamo informazioni coerenti che confermino la nostra rappresentazione mentale. Talvolta, col nostro atteggiamento, sollecitiamo negli altri proprio quei comportamenti che ci aspettiamo di trovare.
    Ancora una volta tendiamo a confermare le idee che ci siamo fatti delle persone e dei gruppi a discapito degli elementi che potrebbero disconfermare le nostre certezze.
Questo tipo di dinamiche portano spesso alla creazione di situazioni di esclusione, individuale ed organizzativa, a volte anche molto complesse e radicate.

Bias e scorciatoie cognitiveTutti noi abbiamo l’impressione di rapportarci con problemi ed eventi in modo obiettivo, analizzando le situazioni per come sono nella realtà; ma basta poco per accorgersi che non è così. Avere delle mappe mentali per categorizzare il mondo è normale e necessario; l’obiettivo infatti non è sbarazzarci di queste scorciatoie, sarebbe impossibile, fanno parte della nostra natura. Tuttavia, anche solo comprenderne il funzionamento ed averne consapevolezza, può fare un’enorme differenza nel nostro percorso di crescita.

Quindi, che fare?

  • Consapevolezza: renderci conto di avere dei pregiudizi e utilizzare bias e euristiche è il primo passo per poterli comprendere e quindi gestire al meglio.
  • Prenderci il giusto tempo: per evitare di compiere scelte e dare giudizi affrettati è necessario fermarci un momento per riflettere e analizzare la situazione in tutte le sue parti; potrebbero emergere elementi che non avevamo minimamente considerato.
  • Adattabilità: rendere i nostri schemi mentali meno rigidi e statici per fare in modo che si adattino meglio alle diverse situazioni; essere aperti ad eventualità che possono falsificare le nostre ipotesi di partenza è il primo passo verso l’inclusione.
  • Rispetto per la diversità: noi tutti siamo simili o diversi da un certo punto di vista; la diversità può diventare un’enorme risorsa perché permette di avere a disposizione una grande varietà di strategie d’azione.

Possiamo iniziare dalle piccole cose di tutti i giorni, cercando di sviluppare una sensibilità progressiva verso questo tipo di dinamiche.

Anche un viaggio di mille miglia inizia col primo passo. (Laozi)

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Autore

Alessia Alò

Partner di Wise Growth e coordinatrice dell'area Comunicazione & Social media. Classe 1987, laurea in Psicologia Clinica all’Università degli Studi di Bergamo, psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale.
Gestisce la rivista online Diversity-Management.it sui temi dell’inclusione e della pluralità; è docente in percorsi di consulenza e formazione in ambito diversity, equity & inclusion in azienda, in particolare con focus sulle generazioni e l’age management.

Ha collaborato e attualmente collabora con realtà no-profit che offrono supporto psicologico a famiglie, coppie, adulti e minori in situazioni di fragilità.
È appassionata di nuove tecnologie, grafica e comunicazione digitale.
È contributor nel volume “La Cultura del Rispetto. Oltre l’inclusione” di Bombelli M.C., Serrelli E., GueriniNext 2021.

1 Commento

  • Interessante articolo, che condivido in gran parte.

    Nel secolo scorso, il pensiero logico proposizionale ha compreso i suoi limiti e si è vista chiaramente la struttura formale dell’assiomatica. Uno dei limiti è l’indimostrabilità di tutte le verità in sé, dei principi primi. Questi principi, devono essere autoevidenti al senso comune, oppure restano giochi della grammatica. Così sono cadute tutte le certezze delle ideologie astratte. Ad esempio cade “il giusto in sé” e senza questa verità in sé crollano le granitiche certezze occidentali, tutte costruite sopra questo pilastro, posto in essere fin dalle scuole primarie, in cui anche per l’assenza si porta la “giustificazione”.

    La parola “corretto” ha una connessione ai sensi, al senso della “retta”.
    Dal punto di vista del logico formale, si possono vedere gli schemi della sintassi e la forma logica su cui è appoggiato l’articolo. Questo inizia suddividendo le “scorciatoie per prendere decisioni” in due parti:
    – correte, se consentono di interpretare la realtà in maniera rapida ed efficiente per prendere decisioni, nella maggior parte dei casi;
    – non corrette / unconscious bias, se portano a conclusioni errate sul mondo che ci circonda.
    La non correttezza degli unconscious bias ė nella forma del ragionamento o nell’uso di errati principi? Non ci sono errori logici, ci sono errati / falsi principi.
    Data una forma di un ragionamento deduttivo, seguire, applicare la forma è la verifica di correttezza. Questo non implica la corretteza dei principi primi veri in sé. Questi restano extra logici. I processi “unconscious bias” utilizzano forme deduttive corrette, applicate a principi falsi.

    Per il condizionale, se l’antecedente è falso, il conseguente è sempre vero:
    “Se” -antecedente- “allora” -conseguente-
    “Se” -io sono superman- “allora” -ho i super poteri-
    “Se” -il mio gruppo è il migliore- “allora” -gli altri sono i peggiori-
    “Avere delle mappe mentali per categorizzare il mondo è normale e necessario”
    “Se” – è normale (fatto dalla maggioranza delle persone) “allora” – è meglio-
    “Se” – è normale (fatto dalla maggioranza delle persone) “allora” – è necesario-
    Cosa è necessario e cosa non lo è?
    “Mangia quando hai fame, dormi quando hai sonno” – Zen

    Nella conclusione dell’articolo, sono proposti:
    – Consapevolezza
    – Tempo
    – Adattabilità
    – Diversità
    Il Diverso ha un valore e per dare un valore si usa l’uguale =. Tutta la teoria matematica del Valore è fondata su operazioni di somme + e sull’uguale =. In altre parole qualcosa “vale di più” equivale a essere “meglio”. Questo “calcolo”, come tutta la matematica, da solo non dice nulla. Tutta la matematica di per sé, è una sequenza di segni insensati. Questi segni trovano utilità quando hanno un riferimento al senso. Per gli antichi romani “i calcoli” stanno a indicare “i sassolini”. Come si calcola il valore del diverso con l’uguale?
    Molto bella l’immagine di Escher, un artista che ha colto la contraddizione intrinseca a ogni sistema.

    La volontà cerca disperatamente un perchè, quale “migliore” appiglio di “perchè è meglio”. Fa sorridere vedere come il gioco del linguaggio vincolato alla dicotomia, inciampa in deduzioni su verità astratte (menzogne millenarie) e tautologie, restando un contenitore senza contenuto, limitato a dirne, senza mai riuscire a dirlo.

    Questi appunti non hanno alcun valore in sé.
    知者不言,言者不知 – “Chi parla non sa, chi sa non parla”. (Laozi)
    Il libro va chiuso, qualora inteso come una guida.

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