Centottantacinque alla Camera e ottantasei al Senato, questi i numeri definitivi di deputate e senatrici, elette alle ultime consultazioni del 4 marzo 2018.
Nonostante il Rosatellum, nuovo sistema elettorale, abbia introdotto una norma sull’equilibrio di genere, non sembra, leggendo i dati, ci siano stati passi avanti sulla via della parità rispetto alla precedente legislatura.
Il Rosatellum prevede, infatti, che almeno il 40% delle candidature debbano essere del genere meno rappresentato e quindi, attualmente, di quello femminile.
Almeno due possono essere le ragioni alla base dell’esigua percentuale delle elette, ben al di sotto di questa soglia numerica.
La prima, evidente e scontata ma certamente deplorevole, è aver garantito al genere maschile collegi uninominali sicuri, ben sapendo che, nonostante le ultime elezioni abbiano stravolto qualche certezza in merito, in alcune regioni italiane vi sia un’omogeneità di voto importante che consente di individuare con relativa certezza i cosiddetti “collegi sicuri”.
La seconda potrebbe essere una ragione più tecnica da tenere in dovuta considerazione.
La legge consente fino a cinque pluricandidature nei listini e assegnare alla stessa donna cinque posti in posizione eleggibile significa, quindi, la certezza di far entrare una sola donna e i quattro uomini che seguono nell’ordine.
La legge sarebbe rispettata, lo spirito dell’equilibrio di genere decisamente meno.
E così la presenza femminile in Parlamento, dopo le ultime elezioni, appare pressoché in linea con la legislatura precedente (addirittura identica al Senato), con una leggera flessione alla Camera, dove nel 2013 le elette furono 198.
Un record particolare è quello di una candidata del Movimento 5 Stelle, trentunenne aostana di origini calabresi, che ha vinto in tutta la Valle d’Aosta dove mai prima d’ora era stata eletta una donna in Parlamento.
Ad Aosta ha avuto il 25% dei voti e a livello regionale il 24%, in tutto 15.999 preferenze e quindi un ottimo risultato.
Al Senato la percentuale di senatrici si aggira attorno al 27%.
Il gruppo con più donne elette è quello del Movimento 5 Stelle, con 42 donne su 112 eletti, poco al di sotto del 40%, soglia prevista dal Rosatellum come percentuale minima da rispettare in fase di candidature per un genere rispetto all’altro.
Lontano dal 40% anche il Centrodestra nel suo complesso, con 30 elette su 137 e il Centrosinistra, con 13 su 59. Il risultato non soddisfacente di Liberi e Uguali determina un’unica presenza femminile su quattro eletti.
Alla Camera i risultati sono più o meno analoghi: le donne elette sono circa il 30%.
Il Movimento 5 Stelle si avvicina di più alla soglia prevista dalla ‘norma di genere‘ sulle candidature, presentando 82 donne su 222 eletti sicuri (circa il 37%), mentre la coalizione di centrodestra, su 260 seggi totali assegnati finora, presenta 67 donne (più o meno il 26%).
Il Partito Democratico, in attesa dei ripescaggi, ha 32 donne su 115 seggi assegnati (circa il 28%).
Insomma, per le ragioni tecnico politiche accennate, anche in questa tornata elettorale il numero delle elette è risultato ben al di sotto di quanto previsto dalla legge per le candidature.
Come si è visto, spesso in Italia un diritto viene tutelato dalla legge ma viene anche subito trovato un modo squisitamente lecito per aggirare la legge stessa.
E allora, ferma restando la concreta necessità della quota minima di genere nelle candidature, occorre interrogarsi se la questione non debba essere affrontata nella sua interezza, indipendentemente dall’aspetto normativo.
Si ritiene, infatti, che la questione sia stata e tuttora sia di natura culturale, con la necessità di valorizzare il genere femminile in tutti i settori, dalla politica alla Pubblica Amministrazione e alle aziende.
Ciò vale con particolare riferimento ai ruoli apicali che, ancora oggi, registrano più presenza femminile ma non ancora quella auspicata dalle politiche europee.
I dati statistici ci dicono che se la situazione è migliorata nelle aziende private (per le società quotate grazie alla Legge Golfo-Mosca del 2011), nella Pubblica Amministrazione e in magistratura i ruoli direttivi sono, in gran parte, ancora affidati agli uomini.
Occorre quindi impegno in questo senso per superare pregiudizi e caste, così consentendo a chi è meritevole di ricoprire ruoli idonei, indipendentemente dal genere.
In tal modo, le leggi sulla parità saranno concretamente applicate senza sotterfugi, voluti o inconsci, e solo così vi sarà effettiva parità in tutti gli ambiti della nostra società.