Donne Grandangolo

Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta.

conseguenze femminicidi
Intervista a Stefania Prandi

Cosa succede a chi è coinvolto negli esiti drammatici della violenza di genere?
Il libro di Stefania Prandi, “Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta”, è nato per indagare su queste dolorose situazioni. 

“Le conseguenze” è un volume nato da un reportage durato 3 anni e pubblicato nel 2020.
Abbiamo intervistato l’autrice Stefania Prandi giornalista professionista e fotografa, che per il suo lavoro di inchiesta ha ottenuto riconoscimenti internazionali.
Dopo “Oro rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo” ora “Le conseguenze”: due libri che sono un urlo di sofferenza, ma anche un’analisi approfondita di fenomeni difficili e complessi. 

Le domande di ricerca

Le motivazioni e le domande di ricerca che hanno spinto l’autrice a occuparsi di questo suo reportage sono varie e da ricercarsi nel suo background e nei suoi ambiti di interesse e studio.

Per usare le parole di un libro caro all’autrice, “Le vite che nessuno vede” di Eliana Brum, al centro de “Le conseguenze” ci sono le realtà invisibili, gli “inaccadimenti”.
Per una parte del giornalismo mainstream molti fenomeni che accadono nella società restano invisibili. Questi “inaccadimenti” non vengono registrati, è come se non fossero accaduti.
È proprio il desiderio di mettere alla luce alcune realtà nascoste che muove il lavoro di Stefania Prandi.

L’autrice, diventata giornalista professionista in Italia con un master in giornalismo, si è specializzata successivamente nelle questioni di genere attraverso un corso di master fatto in Svezia presso l’Università di Linkoping che al momento ha il nome di “Gender Studies – Intersectionality and Change, Master’s Programme”.
Questo le ha aperto prospettive diverse rispetto a quelle del femminismo italiano.
Il master prevede anche un filone dedicato alla violenza di genere “Gender and Sexuality in the Organization” che racchiude al suo interno tematiche relative alla violenza sul lavoro.
In particolare sono stati fondamentali per lei gli studi di Catharine A. MacKinnon e del professor Jeff Hearn, un veterano degli studi della mascolinità e sessualità all’interno delle organizzazioni, che teneva il corso e ha pubblicato importanti volumi come “The Sexuality of Organization” e “Gender, Sexuality and Violence in Organizations: The Unspoken Forces of Organization Violations“.

“I temi legati alle organizzazioni e alle molestie sessuali e alle altre tematiche legate al genere, dalla violenza, al postumano, alla maternità, al neurosessismo, all’arte femminista fanno parte del mio percorso, se vi facessi vedere una foto del mio studio sarebbe pieno di testi legati al genere.” Afferma Prandi.

Nel 2016 in parallelo all’idea di lavorare a Oro Rosso, è arrivata l’esigenza di iniziare il reportage che sarebbe diventato poi “Le conseguenze”.
Secondo Prandi è necessaria una chiave diversa per parlare di femminicidio. 
Già nel 2016, quando il lavoro di ricerca è cominciato, si iniziava a parlare molto di questo fenomeno, ma le modalità di comunicazione sfociavano a volte nella retorica.

Ancora oggi nel 2021 si crea un forte rumore intorno al tema del femminicidio, rumore a volte doveroso, ma che purtroppo non porta a un reale approfondimento. 

L’altro aspetto che ha influenzato fortemente il lavoro di Stefania Prandi è che è oltralpe, in Europa, si sta discutendo sull’impatto del giornalismo in certe tematiche.
La denuncia giornalistica in sé non funziona più per tutta una serie di logiche: c’è il discredito del sistema mediatico, i social, la percezione di inutilità del lavoro finale con l’idea che “tanto non cambia mai nulla”.

In questo senso la giornalista ha deciso di usare un approccio etnografico femminista per capire in che modo fare una denuncia che avesse un vero impatto e trattare la materia del reportage in modo da capire come relazionarsi alle soggettività che prendono la parola nel libro.
L’approccio non viene dall’Italia, ma sta prendendo piede anche nel nostro paese nel lavoro di giornaliste e giornalisti indipendenti soprattutto esterni alle redazioni. Nelle redazioni italiane, invece, purtroppo, c’è poca diversity e mancano l’inclusione e il confronto, generando un clima intellettuale piuttosto statico. 

Nuovi progetti

Per il futuro l’autrice ha già in mente dei nuovi progetti. Uno è relativo alla reazione alla violenza. L’altro è legato alla connessione tra oppressione, disciminazione di genere, narrazione e parola.
La domanda di ricerca è quanto chi subisce un’oppressione ne sia consapevole, quanto si riesca a uscire dalla descrizione che l’oppressore ti propone del mondo.
Linde Hildebalr Nelson in “Damaged  Identities- Narrative Repair”, affronta proprio questo tema: quali sono le azioni che si possono fare per ribellarsi dalla narrazione che gli oppressori fanno delle classi dominate? Questo è un aspetto importantissimo quando si cerca di parlare con persone che hanno subito una grande ingiustizia.

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Stefania Prandi riflette su come, durante la ricerca di “Oro rosso”, tutte le donne che hanno subito violenza nei campi fossero consapevoli della dimensione di violenza, mentre in altri ambienti più “alti” le donne in certi casi vogliono negare il problema. Raramente in Italia, a certi livelli, ci sono situazioni di sexual harrasment che vengono raccontate.

Un’altra domanda di ricerca può essere il sessismo biunivoco: le donne si assoggettano ad alcune situazioni perché anche loro vivono un sessismo nascosto e introiettato. 

I livelli di intervento

Le storie di “Le conseguenze” sono drammatiche, e le consigliamo vivamente ad ogni lettrice / lettore interessato.
La domanda che nasce è spontanea: cosa possiamo fare in merito e quali sono i livelli di intervento?

Nel testo ci sono una miriade di suggerimenti impliciti. Non entriamo nel metodo delle leggi, ma chiaramente emerge una lentezza delle istituzioni a rispondere alla violenza sulle donne in ogni loro declinazione.
Tuttavia, ci sono pungoli efficaci e strutturati come per esempio la legge 4 del 2018 per orfani femminicidio. Questa legge è il risultato del lavoro della sociologa Anna Costanza Baldry e delle associazioni che l’hanno seguita nel corso degli anni, un lavoro sotterraneo iniziato oltre una decina di anni fa che ha portato un buon risultato. La legislazione italiana, almeno sulla carta,  rispetto a quelle di altri paesi, è molto avanzata.
Purtroppo, come in questo caso, succede che vi siano leggi molto valide con uno iato con l’effettiva messa in pratica. 

Per esempio, sempre parlando della legge 4 del 2018, i decreti attuativi sono stati approvati solo a luglio 2020, e allo stato attuale le famiglie con figli orfani speciali, per i quali erano previsti 14milioni e mezzo nel 2020 e poi 12 milioni tra 2021 e 2024, non hanno ancora visto i soldi.
Peraltro, chi ha fatto domanda ha notato una procedura molto complessa (per fortuna esiste una rete di aiuto!).
Tra l’annuncio in pompa magna e la ripresa acritica da parte dei giornali, che ha fornito al grande pubblico l’idea di essere di fronte a una legge giusta e concreta, è mancata poi la messa in atto. Le famiglie quindi si sentono ancora più abbandonate perché l’opinione pubblica ritiene valida la legge e non sa che i fondi non sono ancora stati erogati.

Ci sono anche altri decreti attuativi: per esempio è stata creata una commissione apposta per lavorare sui dati dei femminicidi. Il problema è che non esistono ancora i dati esatti.
Non ci sono, ad esempio, ancora dati sugli orfani femminicidio quindi non si può attuare pienamente la legge 2018. Nessuno a livello politico vuole destinare fondi a queste commissioni.
È interessante però che queste commissioni esistano e che vi facciano parte anche genitori di vittime, alcune anche che sono state incontrate all’interno del volume.

Il lato molto interessante è che la parte politica in senso stretto- non partitica- è stata molto efficace in realtà, ma ciò passa sotto silenzio.
L’ambito di aiuto è strutturato ma non è tutto pubblico. Le associazioni beneficiano di fondi pubblici ma poi devono cercare i soldi anche altrove. Hanno parte pubblica e poi privata. Sappiamo bene che c’è una necessità di collaborazione e controllo con lo Stato.

Linee guida

Quello che mancava fino a poco tempo fa era la redazione di linee guida che Baldry ha fatto nei suoi testi.
Lei ha scritto il libro “Orfani Speciali” e ha fatto parte del progetto SARA (Spousal Assault Risk Assessment) in collaborazione con la polizia, che si occupava di lavorare su parte antecedente al delitto, per capire, mettendo in rete i vari dati di vari enti e attori sociali, quali sono i segnali che possono farci presagire che ci sarà un caso di femminicidio.

Sempre riguardo a questa tematica negli USA è uscito un libro molto importante, secondo il Washington Post “un libro epocale”: si chiama “No visible bruises” di Rachel Louise Snyder.

Anche questa autrice fa lo stesso discorso di Baldry, dice che negli USA si stanno mettendo insieme vari dati per capire quali siano gli indicatori per creare linee guida. Uno degli indicatori, per esempio, è lo strangolamento: uno dei segni di preludio del femminicidio. 

C’è anche un Protocollo anche per gli orfani di femminicidio che è fondamentale: se il bambino assiste al delitto viene immediatamente affiancato da un professionista, come uno psicologo. Sicuramente sono passi da gigante in confronto a 15 anni fa dove la parola “femminicidio” non veniva nemmeno usata.

Termini nuovi e riflessioni sul linguaggio

Nel 2013 infatti L’Accademia della Crusca ha accolto il termine femminicidio. Il linguaggio (e una corretta comunicazione dei media) è importante, crea dibattito, a volte è ancora sottovalutato. Parallelamente si creano nuovi termini come “orfani speciali”. 

Un altro termine che stato recentemente introdotto a seguito di un dibattito è “violenza sul lavoro” al posto di “molestie”.  Molestie è un termine che risale agli anni Settanta negli USA, ed è una delle espressioni della violenza sul lavoro.  

Un importante dibattito che sta avvenendo sempre relativo al linguaggio, è che Violenza domestica è un termine che secondo alcune studiose non è adatto. Negli USA si preferisce parlare di terrorismo domestico, ma il termine ha un’accezione diversa in italiano, quindi non funziona, ma comunque bisogna interrogarci su questo. 

Il termine Violenza Domestica non va bene perché avvicina l’idea di violenza all’idea di domestico, sminuisce la misura della violenza. Sembra in qualche modo che sia una violenza attenuata, perché noi pensiamo alla famiglia come qualcosa che non possa fare così male, di intimo e rassicurante.

Un altro termine che andrebbe trovato è quello per i figli che vengono uccisi a causa della dimensione di genere. Si tratta dei figli uccisi per ritorsione del padre nei confronti della madre, delitti che sono purtroppo avvenuti recentemente anche nel nostro paese. È interessante scoprire che in Italia non c’è nemmeno un registro specifico su questo tipo di morti, che rientrano nei figlicidi o negli infanticidi.

Sicuramente la dimensione di dare termini corretti è strettamente collegata con quella di fare emergere certi temi. Per esempio, quello delle persone scomparse è un tema totalmente dimenticato dalla stampa.

Le persone scomparse

Famiglia di queste vittime sono riunite nell’associazione Penelope, pochi che ne fanno parte e molti non sentono il problema da vicino. Probabilmente il pensiero è così abominevole che viene allontanato, c’è uno stato di negazione. 

Inoltre, molti di questi dati non si sanno. Dal 1988 al 2019 di 13mila donne scomparse non si sa più nulla. La percentuale di donne è importante e supera quella degli uomini, ma un’altra componente molto pesante è quella di minori che scompaiono. Spesso sono minori non accompagnati e qui siamo strettamente collegati al tema dell’immigrazione. Oppure c’è un tema di tratta di prostitute. Come accenna anche Patrizia Romito nella prefazione del volume, ci sono individui considerati meno umani degli altri che se scompaiono non interessa a nessuno.

Lettere alle vittime

Nel testo viene data voce al racconto di chi rimane e dopo ogni storia vi è una lettera di chi resta alle vittime che non ci sono più. L’idea della lettera è nata con la mostra fotografica che accompagna il testo, nell’ottica di creare un racconto corale nel quale le persone che hanno subito il femminicidio e che hanno reazione rispetto a questo prendano la parola.

“Sono rimasta stupita dalla potenza narrativa di questi scritti” riflette l’autrice.

L’intenzione era avere quanto più possibile le parole stesse di questi testimoni. L’idea è nata chiedendo ad alcune madri di scrivere un pensiero come se stessero parlando con la loro figlia. Non solo nelle lettere, ma anche nelle interviste è un continuo dialogo con le proprie figlie. 

La violenza in azienda

Come Wise Growth noi lavoriamo prevalentemente con le aziende, e dobbiamo riflettere su come le aziende possano aiutare concretamente nell’estirpare questo problema.

Visto che nella violenza contro le donne fanno parte anche le discriminazioni più quotidiane, le aziende devono cercare di promuovere, diversità e premialità, valorizzando la competenza delle donne, valorizzando anche la dimensione a metà tra privato e pubblico che però dovrebbe riguardare anche gli uomini. 

Bisogna guardare al Nord Europa o alla Spagna che ha equiparato il permesso paternità. Le iniziative di aziende singole, che già avvengono, possono diventare paradigmatiche e cambiare le cose.

Un altro tema interessante è quello del presidio psicologico. A volte le donne non sanno a chi rivolgersi: all’interno del welfare aziendale possono essere inseriti psicologi, specificando che servono anche per questo, in caso di bisogno. 

La sfida è trovare e scovare gli elementi di violenza che sembrano normali, quella sugli come gli orari di lavoro. Oppure il fatto che gli uomini che cercano di differenziarsi vengono penalizzati.

È poi interessante creare eventi o attività formativa dove dare nome a queste cose e quindi cercare di affrontarle. 

 

Le fotografie presenti nell’articolo sono di Stefania Prandi e sono state scattate ai parenti delle vittime di femminicidio durante il reportage.
Fanno parte della mostra itinerante “Le conseguenze”, allestita a Bologna e Brescia. La mostra sarebbe dovuta proseguire in diverse città italiane, ma è stata purtroppo sospesa a causa della pandemia di Covid-19.

Autore

Bianca Campagnolo

Nata a Milano nel 1991, ha una laurea magistrale in Lettere Moderne conseguita all'Università degli Studi di Milano, con specializzazione in Linguistica dei Media. Dopo la laurea ha conseguito il Master MIMEC in Marketing e Comunicazione presso l'Università Bocconi. Scrive per testate online che si occupano di teatro, arte e cultura;  dal 2015 collabora con il magazine TeatriOnline. Esperta di SEO, Web Editing, Digital Copywriting e Social Media Planning, è Digital Communication Consultant in Wise Growth e libera professionista nell'ambito del Marketing e della Comunicazione Digitale. Ha collaborato come tutor presso l'ospedale Fatebenefratelli, occupandosi dell'ascolto di adolescenti in condizioni di difficoltà.
È appassionata di letteratura, arte e teatro. I suoi interessi spaziano dalle tematiche ambientali a quelle relative all'universo femminile e all'inclusione delle culture diverse.

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