Ad aprile 2021 è partito il Disability-Lab con il primo di tre incontri tematici su argomenti caldi e buone prassi: all’evento hanno partecipato, attivamente e con vivo interesse, tutte le aziende partner aderenti al network.
Il Disability-Lab nasce come opportunità di proseguimento dei lavori dopo il progetto “Disabilità e lavoro: una ricerca attraverso le narrazioni dei protagonisti” sviluppato da Wise Growth e Istud, in collaborazione con Valore D. Focus della ricerca, dar voce e valorizzare le persone con disabilità nel mondo del lavoro e all’interno delle aziende.
Gli appuntamenti del Disability-Lab sono dedicati a formare un network di aziende e cooperative che possano trovare un momento per fermarsi e riflettere su alcuni temi legati al mondo della disabilità, attraverso lo scambio e la condivisione di progetti, esperienze pilota, ricerche e innovazioni.
Il tema del primo incontro è stato “Disabilità, pandemia e smart working”.
Dalla mattinata del 13 aprile sono emersi tanti spunti di condivisione, scambio di idee e best practices: ora più che mai, infatti, si dovrà avere ancora più attenzione verso gli strumenti tecnologici a disposizione dei lavoratori. Si pensava che il salto tecnologico fosse impossibile, e invece ci siamo trovati ad essere costretti a farlo e a scoprire che era anche fattibile!
Un ambiente più vicino alle proprie esigenze è quindi immaginabile e anche più produttivo.
Certo, emerge una grande fatica nell’essere deprivati di una quotidianità su cui sono state costruite autonomie e sicurezze. Ma è proprio nel rispondere al cambiamento che emergono i talenti!
Bisogna sottolineare che lavorare tutti a distanza ha favorito l’attivazione di competenze a volte latenti e nascoste; ha dato la possibilità alle persone di esserci comunque, sia sul piano logistico che su quello relazionale, e ha abbattuto barriere e preconcetti: smart working quindi come rottura dello stereotipo, in quanto tutti, in un certo senso, sullo stesso piano.
Nel confronto è emerso che lo smart working è visto come facilitazione della dimensione di cura; non a caso le donne hanno considerato l’Implementazione tecnologica come un’opportunità, anche se purtroppo il cambiamento culturale richiede più tempo: la persona con disabilità, per esempio, va messa in condizioni di essere davvero risorsa.
Per certi aspetti lo smart working ha permesso una maggiore conciliazione tra vita privata e vita lavorativa: alcune aziende però si sono trovate impreparate, non avendo previsto modalità per svolgere le attività da remoto. Spesso mancano gli strumenti, non è il lavoro ad essere non remotizzabile.
Si è poi parlato dell’importanza di introdurre una dimensione di scelta (non obbligatorietà) quando si parla di smart working, e soprattutto di distinguerlo da altre forme di lavoro da remoto. Le persone con disabilità spesso sono assunte con un contratto di telelavoro e possono vivere situazioni di emarginazione socio-lavorativa proprio perché confinate in modo prolungato presso la loro abitazione; rischiano perciò il peggioramento della loro condizione di salute, nonché l’impoverimento delle relazioni umane e la conseguente riduzione del livello di apprendimento e produttività.
Lo smart working, invece, prevede la valorizzazione del lavoro per obiettivi, senza orari né sedi predefinite; è possibile svolgere le proprie attività ovunque, non necessariamente nella propria abitazione come il telelavoro. Inoltre, attraverso l’ausilio di strumenti informatici, lo smart working consente di sfruttare al massimo le capacità individuali, specie delle persone con disabilità.
L’8 luglio è previsto il secondo incontro del Disability-Lab, questa volta ci confronteremo su una tematica tanto attuale quanto poco dibattuta: “Le disabilità invisibili”
“Il cassiere mi guarda stranito: il giorno prima mi vede girare nel supermercato in carrozzina ed il giorno dopo mi ritrova a camminare fra gli scaffali con le stampelle, claudicando sì, ma comunque in piedi.
“Ma non eri in sedia a rotelle? Com’è questa storia?!”.
Non sempre le disabilità sono visibili. O meglio, sono invisibili… agli occhi.
Le disabilità non si manifestano necessariamente con l’uso di una carrozzina o altri ausili, né tantomeno attraverso parti del corpo (e della mente) visibilmente “diversi”.
Eppure la sofferenza è la stessa, se non maggiore: spesso la disabilità nascosta ferisce più profondamente, perché ci si sente giudicati in una sfera privata ed intima, magari “costretti” a doversi giustificare.
La società e il mondo del lavoro spesso dimostrano ben poco tatto ed ancor meno sensibilità, rischiando di mettere le persone con disabilità non evidenti in situazioni emotivamente molto faticose.
Cosa possono fare, quindi, le aziende e le istituzioni per raggiungere una maggiore consapevolezza del fenomeno? Quali strategie di gestione si potrebbero immaginare?
Di questo parleremo nel prossimo incontro del network Disability-Lab.
Per informazioni sulla ricerca Disabilità e Lavoro o sul network Disability-Lab contattaci: info@wise-growth.it