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Carico mentale: “bastava chiedere” non è la risposta

Carico mentale: "bastava chiedere" non è la risposta
Scritto da Stefania Baucè

Bastava chiedere” è il titolo del libro della blogger francese Emma, uscito qualche anno fa in Italia per Editori Laterza. È anche la frase che molte donne si sono spesso sentite ripetere, a seguito di una richiesta d’aiuto, da compagni, partner, mariti e figli. Una frase che più di una volta è stata vissuta con sentimenti di rabbia e amarezza perché sottende che, in fondo, il carico domestico e famigliare sia interamente una responsabilità femminile. Che si tratti di portare il cane dal veterinario, di preparare i pasti, di prenotare una visita medica per i genitori anziani, di chiamare l’idraulico o di fissare un colloquio a scuola con gli insegnanti, alla fine spesso ricade tutto sulle spalle delle donne. 

Un peso invisibile  

Questo peso, spesso invisibile, da qualche anno ha trovato una definizione precisa: “carico mentale“.  ll termine, introdotto per la prima volta nel 1984 dalla sociologa Monique Hainaut,  racchiude il senso di quell’intangibile fardello che deriva dal destreggiarsi tra la vita, il lavoro e le responsabilità della gestione della casa. A sobbarcarsi questo peso sono da sempre e prevalentemente le donne. In molti casi al lavoro che si svolge fuori dalle mura domestiche se ne somma un altro, fondamentale, di gestione e pianificazione delle attività. Lo si può chiamare anche “lavoro invisibile” perché dall’esterno non è così immediato da cogliere. Mentre è sotto gli occhi di tutti chi materialmente compie la singola azione, lo è molto meno tutto quello che c’è prima. Dietro a un pasto caldo in tavola, per esempio, ci sono riflessioni, to do list e azioni che consumano moltissime energie causando affaticamento fisico e soprattutto psicologico. Non è tanto e solo il fare, quanto il pensare. Il carico mentale è un lavoro indicibile, non retribuito, spesso negato nel suo valore proprio perché non riconosciuto. È la parte sommersa dell’iceberg.  

Superpoteri? Anche no! 

Si tratta infatti di pensieri che generalmente non abbandonano mai la donna, nemmeno quando si dedica a un’altra attività. Qualcuno parla in maniera ironica del “superpotere al femminile”, ovvero della capacità di riuscire a vedere alcune cose che altri non notano. Annalisa Monfreda, autrice di una recente pubblicazione sul tema (“Ho scritto questo libro invece di divorziare, Feltrinelli Editore), ribalta invece la questione. Il vero superpotere, secondo lei, non è quello di notare le cose, ma quello di non notarle. È la capacità di veleggiare sui bisogni materiali, avendo la certezza che un’altra persona vi provvederà, vivendo in questo modo in maniera molto più spensierata.  

Per descrivere il carico mentale si può pensare a un file sempre aperto che continua incessantemente a consumare energie. Inoltre, poiché esso non riguarda solo le attività che si possono concretamente delegare, quanto il tenere tutto a mente, a esserne colpite sono anche le donne che godono di aiuti dentro e fuori casa rappresentando una grossa fatica 

Il ruolo della società 

Carico mentale: "bastava chiedere" non è la risposta

Immagine tratta dal libro Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano di Emma, Ed. Laterza”

Comprendere le origini del carico mentale può aiutare a capire alcuni suoi risvolti. Innanziutto non ha a che fare con presunte e sopravvalutate doti femminili di multitasking, ma con stereotipati ruoli genere. In quanto persone nate all’interno di una società, attraverso incentivi e condanne veniamo in qualche modo socializzate e orientate a specifici ruoli di genere. Questo condizionamento, che inizia sin dall’infanzia, continua e si rafforza nell’età adulta. 

Il lavoro di gestione domestica, pur non essendo una “prerogativa femminile” finisce per diventarlo; e se si diventa madri questa responsabilità raddoppia. Spesso le donne, stremate da ritmi frenetici, trovano meno stancante continuare a fare tutto da sole piuttosto che discutere con il partner perché si faccia carico della sua parte. Questo atteggiamento di rinuncia però non aiuta le donne a uscire da situazioni di affaticamento e stress e a costruire migliori equilibri per la coppia. Anzi, proprio come un fardello fisico, il peso del carico mentale può essere dannoso per il benessere e la salute dell’individuo e alla lunga, se sottovalutato, può diventare persino invalidante. 

Gli effetti sul benessere 

Il tentativo continuo di tenere tutto sempre sotto controllo e di far fronte ad ogni incombenza ha come esito il fatto di trascurare sé stesse. Infatti sono molte le donne che, sovraccaricate dagli impegni quotidiani, mettono da parte la professione o, ancora peggio, rinunciano ad avere interessi, hobbies e aspirazioni personali. Nel lungo periodo, questo atteggiamento può portare ad una progressiva perdita di motivazione e voglia di fare fino a sfociare in uno stato di profonda insoddisfazione patologica. 

I dati ci dicono che tutt’oggi permane un’asimmetria nella distribuzione dei carichi relativi alla cura e alle responsabilità. Se a queste attività le donne dedicano in media cinque ore al giorno, gli uomini superano di poco le due ore (Fonte: JobPricing LHH, 2022) Eppure, negli ultimi anni qualcosa sta lentamente cambiando. Le nuove generazioni hanno un approccio molto diverso verso la suddivisione dei compiti all’interno della coppia e sicuramente i “nuovi padri” si differenziano dalle precedenti generazioni. È quindi lecito immaginare che oggi all’interno di diversi nuclei famigliari ci sia un’equa distribuzione delle cose da fare, che varia a seconda delle possibilità, del tempo e delle abilità personali, e non più in base a vecchi e stereotipati ruoli di genere. 

Delegare o condividere? 

Carico mentale: "bastava chiedere" non è la risposta

Immagine tratta dal libro Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano di Emma, Ed. Laterza”

Quando i nostri partner dicono “bastava chiedere” in realtà stanno chiedendo di dir loro cosa fare, rifiutandosi così, spesso inconsapevolmente, di assumersi la loro parte di carico mentale. Rispondere in questo modo ad una richiesta di collaborazione, significa dare per scontato che sia la donna ad avere la responsabilità della casa e della famiglia ritagliandosi un ruolo laterale e meramente esecutivo. 

La condivisione del carico mentale non si raggiunge delegando o chiedendo aiuto: è necessario fare molta attenzione ai termini che utilizziamo. 

Che entrambi i genitori condividano la responsabilità legata ai figli o alla gestione della casa non è né un favore né un aiuto. Chiedere aiuto sottintende infatti che quella mansione sia di spettanza della madre e che il padre si renda disponibile solo per alleggerire il peso. Invece non si tratta di una delega, ma di condivisione e collaborazione all’interno della coppia. Il passaggio risolutivo è quindi che anche gli uomini vengano inclusi nella gestione del doppio impegno tra lavoro e famiglia. Solo così si potrà traghettare il sistema da un modello di conciliazione al femminile a quello di condivisione genitoriale. 

Come Wise Growth il tema della condivisione dei ruoli ci è molto caro. Da quindici anni, infatti, sviluppiamo progetti in azienda volti a sensibilizzare su queste tematiche e ad aumentare la consapevolezza degli stereotipi di genere. Per cambiare la cultura, nella società come nelle aziende, è necessario coinvolgere sia le madri che i padri. L’obiettivo finale è quello di rispondere al crescente bisogno di un confronto sui nuovi modi di vivere la genitorialità, favorendo il benessere degli individui e delle organizzazioni in una logica di sostenibilità umana. Quando si parla di genitorialità, accudimento dei figli e carico mentale, infatti, non si può non considerare come l’ambito famigliare sia interconnesso con quello lavorativo e viceversa. E questa situazione, ancora oggi, pone le donne in una condizione di svantaggio.  

Possibili strategie di sopravvivenza 

Per le donne farsi sommergere da questo invisibile fardello non è un destino ineluttabile. Qualcosa, insieme, si può fare:  

  • Parlare, comunicare, far capire le fatiche e il peso che sentiamo anche in attività che sembrano semplici. In poche parole, far emergere la parte sommersa dell’iceberg, mettendo il partner a conoscenza di tutta una serie di pensieri non sempre così evidenti. 
  • Passare dalla conciliazione alla condivisione allenando la tolleranza: suddividere le incombenze quotidiane e rispettarle senza intervenire sulle modalità con cui l’altra persona porta avanti il compito. Assentarsi ogni tanto può essere la soluzione. Dobbiamo imparare a farlo senza però preparare tutto in anticipo e gestendo eventuali sensi di colpa. Un capovolgimento dei ruoli può farci bene.  
  • Oltre che con i nostri partner, può aiutare condividere la gestione di alcune incombenze domestiche anche con i nostri figli, educandoli sin da subito ad una suddivisione dei compiti non stereotipata all’interno della famiglia. Una “to do list” condivisa sul calendario di Google o un post-it alla vecchia maniera, possono essere di grande aiuto. 

Autore

Stefania Baucè

Stefania Baucè è senior partner di Wise Growth.
Laurea in Economia e commercio conseguita presso l’Università Cattolica di Milano e Master in Marketing Management in Istud.
Ha lavorato in ambito retail GDO dal 2000 al 2010 nel ruolo di senior buyer. Dal 2011 è senior consultant di Wise Growth: si occupa della progettazione e docenza di percorsi formativi sui temi legati alla diversity & inclusion. I principali ambiti di interesse riguardano le tematiche di genere, la gestione del rientro dalla maternità in azienda e gli strumenti che possano agevolare una miglior conciliazione vita privata/vita lavorativa.
Executive coach ICF ACC, diploma conseguito nel 2014 presso EEC Scuola Europea Coaching.

Nel 2017 e 2018 ha frequentato a Barcellona alcuni corsi sul somatic coaching, organizzati da Strozzi Institute.
Coautrice di “Maternità, lavoro, vita” in Girelli L., Mapelli A. (a cura di), “Genitori al lavoro. L’arte di integrare, figli, lavoro, vita” GueriniNext 2016 e contributor nel volume “La Cultura del Rispetto. Oltre l’inclusione” di Bombelli M.C., Serrelli E., GueriniNext 2021.

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