Bias & Stereotipi Diversity and Inclusion

L’urlo “Girl Power” sta creando un nuovo stereotipo?

L’urlo “Girl Power” sta creando un nuovo stereotipo?

C’era una volta un regno lontano, un principe-eroe, una principessa da salvare, una matrigna/strega da sconfiggere, degli aiutanti magici simpatici e… dei palesi stereotipi di genere.

Questi sono solo alcuni elementi della formula magica su cui la Disney ha costruito il suo impero. C’è da fare i complimenti alla casa di produzione cinematografica americana, in quanto è riuscita nel tempo a sopravvivere, superando repentini mutamenti socioculturali, politico-economici e generazionali. Il “problema”, attualmente molto sentito e sotto gli occhi di tutti, per la Disney e per molte altre case di produzione, riguarda proprio il fatto che si sta sempre più diffondendo una sensibilità e una forma mentis generazionale basata sulla Diversity, Equity & Inclusion (DEI) e soprattutto sull’assenza di canoni da dover ricalcare. Ma facciamo un piccolo passo indietro.

Biancaneve, Cenerentola, Aurora, ma anche Ariel, Pocahontas, Mulan, fanno parte della linea brandizzata su cui la Disney ha fondato buona parte della sua fortuna. Ciascuna di queste principesse, di fatto, incarna uno stereotipo: Biancaneve e Cenerentola sono la donna americana del primo dopoguerra, che doveva rimanere a casa, dando così più spazio alle carriere degli uomini, Aurora è la classica principessa passiva (se ricordate, dorme per quasi metà film), Ariel mostra il suo animo ribelle, ma il fine ultimo è sempre l’amore per il principe Eric, mentre Pocahontas e Mulan sono le classiche donne forti che devono sopperire alle mancanze dei loro padri deboli. Dunque, lo schema stereotipizzato è sempre il medesimo: “donna debole – uomo forte, o donna ribelle – uomo autoritario, o ancora, donna forte – uomo debole”.

Cos’è possibile intuire da questo schema? Semplicemente che non c’è parità di genere ma è molto presente invece una rigida polarizzazione dei ruoli. 

I vecchi stereotipi sono passati di moda?

Per poter rispondere a questa domanda, è necessario riflettere sui più recenti prodotti Disney. Con Merida e Rapunzel la Disney rappresenta le classiche adolescenti ribelli, Elsa ed Anna, sono le donne che si salvano da sole, icone dell’amore familiare e, infine, Moana è la ragazzina curiosa e coraggiosa, tanto da salvare il suo popolo. Negli stessi anni di Merida & co., sono stati prodotti anche i Live Action, (LA), con i quali la Disney ripropone – nuovamente – figure femminili capaci di cavarsela da sole. Perciò, sembra che sia stato virato il timone nella direzione della “sopravvivenza”, soprattutto dopo la terza ondata femminista degli anni ’90. 

Rispondendo, quindi, alla domanda iniziale: in apparenza si potrebbe dire che sì, sembra che la Disney abbia abbandonato gli stereotipi che essa stessa aveva contribuito a creare, rincorrendo l’obiettivo di ristabilire la parità di genere. Ma allora mi sorge un’altra domanda: E l’uomo che fine ha fatto?

Stereotipo maschile del nuovo millennio

Torniamo nuovamente all’analisi dei lungometraggi e andiamo a conoscere i personaggi maschili: 

  • al fianco di Merida non ci sono uomini;
  • in Rapunzel c’è Flynn Rider, un ladro furfante;
  • Elsa ed Anna sono circondate da Hans, il “classico principe azzurro” ma assetato di potere, e da un venditore di ghiacci umile e sempliciotto, Kristoff; 
  • infine, in Moana c’è Maui, un semidio vanitoso e presuntuoso, che scappa dalle difficoltà, abbandonandola. 
L’urlo “Girl Power” sta creando un nuovo stereotipo?

Sembra che gli stessi stereotipi di genere si riproducano anche nei LA. Addirittura, in Maleficent, l’uomo si fa causa originaria del male della donna. È Re Stefano, padre di Aurora, che tradisce, illude e deruba Malefica delle sue poderose ali, barattando l’amore per il potere eaffliggendole così dolore e male. Quel male che, poi, si trasformerà in amore assoluto per Aurora. Qui il messaggio è evidente: il potere delle donne e la forza della loro alleanza (scardinamento di un ulteriore bias: donna anziana VS giovane). 

È ben chiaro, a questo punto, che la Disney stia avviando un processo di crisi di genere, sostituendo lo stereotipo del “principe azzurro” con quello “dell’eroe-nullafacente”, non risparmiando nessuno, semidei compresi. Si innesca così un nuovo schema: “il coraggio è donna, la codardia e il male è uomo”. 

(Dis)Parità di genere

Perché l’esigenza, dunque, di creare nuovi stereotipi? La Disney, come molte altre case di produzione, sembra aver attuato la filosofia del “politically correct” interpretandola – a mio avviso – in modo distorto. Il “politicamente corretto disneyano” si sta dimostrando essere un posizionamento all’estremo opposto: se prima erano le donne inferiori e gli uomini superiori, oggi si tenta di ribaltare la situazione per dare la giusta importanza e rilevanza alle donne, restituendo loro la possibilità di occupare un posto nel mondo. 

L’effetto però è quello di sminuire l’uomo, creando una nuova disparità di genere. Così facendo non rischiamo di ricadere nella stessa trappola, nelllo stesso errore, ma a parti invertite? E poi: ma le donne del nuovo millennio, hanno davvero bisogno di queste rappresentazioni di genere sui grandi schermi?

The End: tutti felici e contenti?

In passato l’happy ending era: trovare un uomo di sani principi, pronto a salvare la donna amata, da sposare e con cui essere “per sempre felici e contenti”. Il classico modello MBEB (Maschio Bianco Etero Basic).

Oggi il the end perfetto è: andare avanti da sole contando sulle proprie forze, essere felici realizzando i propri sogni e l’uomo diventa “Male”, ostacolo e allo stesso tempo nullafacente.

Ma è questo il giusto finale da scrivere per raggiungere la parità tra uomini e donne? Io non penso. Anzi, penso che questa prospettiva polarizzante contribuisca a costruire nuovi bias di genere.Un’utopia mancata a causa di un distorto focus sull’obiettivo. 

È necessario comprendere, in ottica femminista (da intendere come corrente di pensiero che ha come obiettivo l’equità e l’inclusione), che la parità di genere si sostanzia solo attraverso un reale equilibrio fra uomo e donna. Credo che la formula magica per porre fine a queste disparità sia composta da pochi ingredienti: apertura all’unicità di ogni persona, uguaglianza e un “everyone’s power” (anziché un girl power). 

Forse una storia più autentica e coerente sulla parità di genere rimane ancora da scrivere, insieme a modelli alternativi di maschile e di femminile a cui ispirarci.


Bibliografia:

Arnaldi, V. (2019). L’uomo secondo Disney, Roma: Ultra

Bernardelli, A. (2018). Che Cos’è l’Intertestualità Roma: Carocci editore 

Bernardelli, A. (2019). Che Cos’è la Narrazione. Roma: Carocci Editore

Garabedian, J. (2014/15). Animating Gender Roles: How Disney is Redefining the Modern Princess, James Madison Undergraduate Research Journal, Vol. 2 – 1, pp. 22- 25 

Higgs, S. (2016). Damsels in Development: Representation, transition and the Disney princess, Screen Education, Vol. 19, 10, pp. 28-31 

Hine, B., Ivanovic, K., & England, D. (2018). From the Sleeping Princess to the WorldSaving Daughter of the Chief: Examining Young Children’s Perceptions of ‘Old’ versus ‘New’ Disney Princess Characters, Social sciences, Vol.7, 161, pp. 1-15 

Iglesias, M. L., e Zamora, M. de M. (2013). La fémina Disney: anàlisis y evoluciòn del personaje femenino en cuatro pelìculas de la factorìa, Sociedad y Economìa, 24, pp. 121-142

Maity, N. (2014). Damsels in Distress: A Textual Analysis of Gender roles in Disney Princess Films, Journal Of Humanities And Social Science, Vol. 19, 10, pp. 28-31

Salzano, D. (2021). L’emancipazione femminile nei classici Disney, RESED, ISSN: 2341-3255, pp. 221-235

Xu Qingli, Shi Ying, Female Gender Identity in the Adaptation of Disney Live-action Film Mulan, English Language, Literature & Culture. Vol. 5, No. 3, 2020, pp. 112-115

Autore

Alessia Rustichelli

Classe 1997, laurea in Media Education presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, media educator, consulente pedagogica 2.0 e Instructional Designer presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Professionista esperta nei processi e nei linguaggi di apprendimento, nell’ambito comunicativo (ICT e Web 2.0) e formativo, in relazione a diverse strategie da impiegare con differenti target di riferimento.
A inizio carriera, ha già svolto diverse esperienze professionali: ha supportato la redazione di Rai Ragazzi di Torino come tirocinante, ha svolto la figura di formatrice digitale presso il Comune di Milano come stagista; è stata docente della scuola primaria di primo grado e tutor di supporto a livello didattico per adolescenti presso un istituto privato.
Appassionata di tematiche come le parità di genere, l’inclusività e il benessere della persona; ma anche di sport (corsa e calcio), arte (in particolare l’Impressionismo), cucina e della Walt Disney (area su cui ha realizzato entrambe le sue tesi). Fa parte dell’associazione di volontariato dei Leo Club come semplice socia, svolgendo services di supporto al territorio.
Infine, sognatrice ad occhi aperti, punta a unire le sue passioni alla propria professione. La sua mission? Diffondere la Media Education in Italia.

2 Commenti

  • Mi sembra inevitabile che si possa solo andare da uno stereotipo ad un altro, perché per raccontare una storia serve il conflitto, senza conflitto non c’è storia. Chi mai spenderebbe per andera al cinema vedersi una storia non storia?

    • Caro Andrea, grazie per il tuo commento sicuramente interessante e volto a uno scambio di idee che aiuta sempre all’ampliamento della propria prospettiva. Una storia senza conflitto non è storia come dicevi tu, ma penso sia possibile creare delle storie senza necessariamente cadere in nuovi stereotipi. D’altronde, la storia più bella inizia con C’era una volta … e può finire con un “vissero per sempre uguali, diversi, non giudicanti e contenti”.

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