La storia di Marcello è esemplificativa della gestione (o non gestione) dei diversamente abili in azienda.
Marcello, 45 anni, un lieve deficit cognitivo: 4 anni fa, dopo 20 anni di lavoro in una piccola azienda, perde il lavoro a causa della crisi. Da allora solo brevi contratti a termine attraverso le agenzie interinali: ogni mancato rinnovo diventa un macigno che via via indebolisce la sua (già poca) autostima.
Dopo anni di grande fatica, la famiglia decide di attivarsi per la formalizzazione della disabilità di Marcello. Sospiro di sollievo per lui e i suoi famigliari che credono di trovare in questa certificazione una forma di ‘tutela’ in grado di garantire il collocamento ‘mirato e mediato’ come riporta la legge.
Ed in effetti sembra così: Marcello viene chiamato da un’azienda come assunzione obbligatoria. Prima tre mesi, poi altri due mesi fino ad arrivare alla firma di un contratto annuale. L’assistente sociale che ha seguito l’iter burocratico è molto soddisfatta: obiettivo raggiunto, a suo avviso. Quando la famiglia chiede un supporto per agevolare l’inserimento, la risposta è negativa: “Dobbiamo occuparci di chi non ha lavoro, non di chi lo ha trovato!”.
È passato più di un anno e mezzo e la scorsa settimana l’imprenditore chiama la famiglia: Marcello fa errori sulla catena di montaggio ed il suo responsabile e i colleghi si lamentano delle continue richieste di aiuto: “L’inserimento è stato troppo selvaggio, Marcello doveva essere seguito”.
La famiglia decide di interpellare l’assistente sociale ma l’imprenditore non vuole occhi indiscreti in fabbrica: la famiglia quindi si offre di lavorare fianco fianco di Marcello per un paio di settimane e propone un part time in modo da impattare meno sul ciclo produttivo.
Una storia come molte altre dove diventa difficile riuscire a soddisfare tanti bisogni, diversi ma tutti legittimi: il welfare che è sempre più stretto, il mondo del lavoro dove il tempo è sempre scarso e le persone che richiedono di essere seguite possono essere un ostacolo, i familiari preoccupati di salvaguardare la salute ed il futuro di un loro caro ed un ragazzo che è solo alla ricerca di un po’ di serenità.
“Collocamento mirato e mediato” per i diversamente abili: così riporta la legge… ma come fare a renderlo tale?