Portare il peso della corona non sembra ancora oggi un affare da donne. Perché la rinuncia di un ruolo, il sacrificio in favore di un altro, è più facile per chi lo fa e più accettato da chi lo riceve, specie se nei ruoli ci sono una donna ed un uomo? Quali sono le ombre che si nascondono dietro alla ‘vittoria’ ed al ‘potere’? Fino a che il sacrificio sarà riconosciuto come la strada più facile, scordiamoci i ruoli di potere.
Da anni mi occupo di differenze di genere, ora a livello professionale, ma fino da quando ero molto più giovane sono stata, diciamo, incuriosita da questo tema. Oppure come dicono gli inglesi, attraverso la loro proverbiale ironia, “mi confonde”. Sì, mi confonde da quando non mi spiegavo perché potessi prendere l’”auto del papà” per accompagnare mio fratello più piccolo alle sue feste (non avendo lui ancora la patente) ma al contrario non potevo prenderla per uscire con le amiche. Ciò nonostante c’era qualcosa che percepivo essere valutato come ‘giusto’ in tutto ciò: facevo una cosa per il suo bene. I miei erano rassicurati dal fatto che lo accompagnassi io. C’era una certa soddisfazione che derivava da un riconoscimento indiretto: un piccolo sacrificio a fronte di un: “brava ragazza!”.
Fatta questa premessa, passati molti anni, diversi titoli di studio in ambito psicologico e lavori nella comunicazione, una sera mi trovo a guardare le selezioni del noto talent musicale X FACTOR, talent tra l’altro trasmesso sui canali SKY quindi indirizzato ad un target selezionato, non “generalista”.
Come ultima partecipante alle selezioni del target “over” (cantanti adulti) si presenta Sara Loreni: una bella donna, molto sofisticata nel look e nel modo di muoversi, presenta una canzone con l’ausilio di una loop station, una modalità nuova ed inaspettata per il pubblico che rimane letteralmente a bocca aperta per tutta l’esibizione e poi scoppia in un fragoroso ed incontenibile applauso (l’applausometro della Corrida, per chi lo ricorda,sarebbe esploso!)
I giudici si confrontano con le consuete pause per creare la giusta suspense, certo forse non è una modalità musicale molto replicabile (“vista una volta viste tutte”…”già in voga all’estero”) ma alla fine Elio decide di concedere una chance a Sara a discapito di un altro partecipante che aveva già conquistato l’anelata “sedia” per accedere alla diretta.
E fino a qui tutto bene.
Tutto secondo le regole del gioco: i più bravi…o meglio i più fortunati, o i più nuovi e diversi, o i più applauditi, o i più belli, o comunque quelli scelti dai giudici rimangono, gli altri tra le lacrime o le recriminazioni, vanno a casa.
A questo punto, su un canale a pagamento nel 2015 in Italia, va in onda la liturgia del sacrificio.
Sara non se la sente di ‘rubare la sedia’ all’altro partecipante e rinuncia a prendere parte allo show (al quale evidentemente essendosi molto preparata ed avendo partecipato alle selezioni, desiderava accedere).
Un po’ di sgomento tra i giudici ed il pubblico lo crea, ma alla fine quello che vince è il riconoscimento per i gesto di sacrificio e quindi di grande eleganza compiuto dalla partecipante: “Complimenti, sei la più elegante”; “Così hai già vinto”; “Tanto ce la fai comunque!”
Gesto che, invece, fa crollare il desiderio di milioni di donne nel medioevo dell’empowerment femminile.
E qui vale la pena di fermarsi per osservare (senza giudizio) alcune trappole tipiche del femminile:
- Piacere a tutti, nessuno escluso⇒ vincere, senza però tollerare l’idea di non essere necessariamente perfetta ed inattaccabile; la migliore per competenze uniche, esclusive, riconosciute da tutti
- Assumersi le proprie responsabilità e rischiare⇒ essere giudicate ed “eliminate” (magari anche al primo turno)
- Tollerare la sofferenza (dell’altro)⇒ venendo scelte qualcun’altro non sarà scelto e (forse) ne soffrirà
Dall’altra parte anche gli uomini, tra i giudici (con una nota su Fedez, sbigottito che si pronuncia con “sei pazza?”), hanno ancora una volta rinforzato lo stereotipo (“rinuncia…che brava!”), senza calcolare che in realtà la scelta di Sara ha un sottofondo oscuro di insubordinazione: “il giudice mi ha dato la sedia, ma decido io.”
In sintesi, al vecchio adagio di Woody Allen: “gli uomini comandano ma le donne prendono le decisioni”, aggiungo io…l’importante è che stiano a “casa”!
Alla fine mi chiedo: ma se la Germania della semifinale dei mondiali del 2014, dopo i primi due, tre gol, si fosse fermata e avesse detto “amici siete in ‘pappa’, fermiamoci qui e riprendiamo in un altro momento”, come sarebbe stata vissuta? Tutti ci saremmo congratulati per il gesto elegante? Non ne sono sicura…
Certo, probabilmente era tutto scritto dalla sceneggiatura, ma gli sceneggiatori sanno quello che piace, quello che aggancia le corde dell’audience. Comunque, a mio avviso, la rinuncia di Sara una riflessione a riflettori spenti la meritava.
[…] riflessione di Lucilla Bottecchia sulla difficoltà delle donne ad “indossare la corona” risponde completamente alla nostra […]