Gli esseri umani, come tutti gli altri esseri viventi, sono contraddistinti dalla diversità e dalla variazione. Per quanto riguarda Homo sapiens, tutti siamo abituati a pensare che tra le differenze che intercorrono tra noi ve ne siano alcune biologiche ed altre culturali. Però se ci soffermiamo a pensare appena un po’ di più, sorgono moltissimi problemi concettuali e cose che in realtà non sappiamo: è davvero possibile discernere, tra le nostre caratteristiche, quelle biologiche e quelle culturali? È corretto dire che le caratteristiche biologiche sono geneticamente determinate?
In questo post ci soffermeremo su una di queste domande, ovvero:
Diversità culturale e diversità biologica si sviluppano in maniera indipendente l’una dall’altra o sono in qualche modo collegate?
Ci aiuteremo a ragionare con un celebre esempio tratto da una disciplina scientifica chiamata ‘genetica delle popolazioni’. Prima però è necessario dire che la ricerca su questi temi è più che mai viva e fervida, portata avanti in tutte le principali discipline delle scienze naturali e umane. È in corso di pubblicazione da Springer ‘Understanding Cultural Traits: A Multidisciplinary Perspective on Cultural Diversity‘ un volume che offre una prospettiva multidisciplinare sul tema dei tratti culturali; il testo è già disponibile online in forma di ebook, per la versione cartacea bisognerà aspettare un po’ di più. Probabilmente, tuttavia, non avete bisogno di segnarvi il titolo, poiché ne sentirete parlare di nuovo su questo blog!
Arriviamo ora all’esempio di oggi, che ci consente di riflettere sul possibile collegamento tra caratteristiche biologiche e caratteristiche culturali.
Le abitudini alimentari sono una dimensione della diversità culturale tra le più notevoli e celebrate. Non è raro che le persone di diversi gruppi etnici, linguistici, nazionali ecc. si lodino o si disapprovino reciprocamente per le loro abitudini alimentari. Pensiamo ad esempio alla colazione, e a come essa sia variabile da stato a stato. Facendo qualche raggruppamento etnico-nazionale molto grossolano (solo per capirci), la colazione degli italiani è ben diversa da quella dei tedeschi, degli americani o dei coreani.
Agli italiani piace ad esempio il caffè, variamente combinato con latte, che culmina ovviamente in quel simbolo nazionale che è il cappuccino. Salsiccia, uovo al tegamino e coca cola non fanno proprio per noi a colazione. Ora, il cibo è certamente cultura. Però, domandiamoci: cosa potrebbe accadere se gli organismi umani, specificamente gli adulti, fossero nettamente suddivisi in organismi che digeriscono il latte e organismi che invece non lo digeriscono? E cosa accadrebbe se la distribuzione della capacità di digerire il latte fosse distribuita in maniera molto disomogenea tra le popolazioni che abitano le varie regioni del mondo? Le abitudini alimentari della colazione potrebbero essere in parte determinate dalla variazione delle persone rispetto alla loro capacità di digerire il latte?
L’esempio non è ipotetico: la frequenza della capacità di digerire il latte varia moltissimo tra le popolazioni umane. La capacità di digerire il lattosio contenuto nel latte fresco è legato a un enzima, la lattasi, che è sintetizzata da tutti i mammiferi quando sono cuccioli. Normalmente, dopo lo svezzamento, i piccoli mammiferi che crescono cessano di sintetizzare la lattasi (un fenomeno spiegabile con il noto principio della ‘economia della natura’).
In Homo sapiens, invece, molti individui continuano per tutta la vita a sintetizzare la lattasi. Ecco perché in biologia questo tratto si chiama lactase-persistence, abbreviato LP. LP non è un gene, la sua base genetica è complessa e non ancora completamente nota, ma gli studi che ne misurano la frequenza sono molto rigorosi: LP ad esempio è generalmente frequente nelle popolazioni nord-europee, ma anche tra queste vi è una forte variazione; LP è molto raro in altre aree del mondo, ad esempio il sud del subcontinente indiano (Gerbault et al. 2011). I soggetti non persistenti (quelli privi di LP) non se la passano bene quando assumono latte fresco: la fermentazione svolta dai batteri del colon e gli effetti osmotici del lattosio non digerito causano sinomi come dolore addominale, gonfiore, flatulenza e diarrea.
È possibile parlare del ‘gene della lattasi’? In realtà no. Come abbiamo già detto, la base genetica di LP è complessa, e molti problemi possono essere risolti anche per via fenotipica: ad esempio, molte persone che non possono sintetizzare autonomamente la lattasi riscono ad assumere latte evitando gli effetti negativi grazie alla flora batterica del fegato.
Dopo queste doverose precisazioni, tuttavia, chiediamoci finalmente: è possibile che LP sia un esempio del fatto che i geni possono influenzare la probabilità che determinate abitudini culturali si diffondano in una popolazione piuttosto che in un’altra? Le persone intolleranti al lattosio, posto che possano sapere che la colpa della loro nausea mattutina è il latte e che non abbiano a disposizione rimedi farmaceutici o alternative alimentari (ad es. latte di soia?), potrebbero essere molto riluttanti ad adottare la stessa tipologia di colazione ricca di latte dei loro familiari o dei loro colleghi.
In questo senso, si può dire che il loro patrimonio genetico influenza la distribuzione di probabilità tra diverse alternative culturali. D’altra parte, però, vi è la questione della pressione sociale. In Italia, ad esempio, la colazione con caffè e brioche è un’attività sociale molto importante. Questo potrebbe creare qualche difficoltà nell’evitare il latte. Inoltre, le abitudini della famiglia d’origine possono essere molto importanti e durature nell’influenzare il comportamento individuale anche per tutta la vita. L’evitamento personale e la pressione sociale sono due forze che, insieme ad altri fattori, porteranno un individuo a prendere posizione su un panorama di alternative culturali differenti, e a scegliere il ‘proprio’ modo di fare colazione. Scegliere il proprio modo non significa necessariamente scegliere per la vita. Un individuo può scegliere di volta in volta se concedersi il latte, oppure assestarsi stabilmente su una scelta ma cambiarla più volte a seconda dei periodi della vita. Quando studiamo una popolazione, tuttavia, riusciamo ad avere una distribuzione di probabilità di differenti alternative culturali che vuole riassumere e sintetizzare tutte queste infinite soluzioni individuali, rendendole comparabili e consentendo agli scienziati (ad esempio, ricercatori medici) di fare predizioni e considerazioni generali sui comportamenti alimentari.
Questi studi e ragionamenti su scala popolazionale, come abbiamo visto, preservano nella maniera più assoluta l’unicità e la complessità individuali. Inoltre va precisato che LP è un carattere fenotipico molto speciale, e che non vi sono molti caratteri così nettamente riconoscibili e con una base genetica sufficientemente semplice.
Fin qui abbiamo riflettuto su come alcuni caratteri biologici e genetici a livello di popolazione potrebbero effettivamente influenzare la probabilità di adozione di abitudini culturali in popolazioni differenti del mondo. Torneremo sull’argomento per vedere come gli scienziati – che non ragionano mai ‘a senso unico – dimostrano che la composizione genetica delle popolazioni è a sua volta influenzata dalle varianti culturali e tecnologiche inventate dalle popolazioni e disponibili agli individui. Piano piano avremo anche modo di educarci alle implicazioni profonde della multidisciplinarità, al superamento dell’approccio ‘aneddotico’ e semplicistico, e al collegamento tra le conoscenze su materie complesse come la diversità biologica e culturale.
Per saperne di più:
- Gerbault, P., et al. (2011). Evolution of lactase persistence: An example of human niche construction. Philosophical Transactions of the Royal Society of London, Series B: Biological Sciences, 693 366(1566), 863–877.
- Serrelli E (2016). Evolutionary genetics and cultural traits in a ‘body of theory’ perspective. In Panebianco F, Serrelli E, eds. Understanding cultural traits. A multidisciplinary perspective on cultural diversity. Springer, Switzerland, Chapter 11. ISBN 978-3-319-24347-4 [DOI 10.1007/978-3-319-24349-8]