E’ ancora una volta una notizia di attualità a fornire spunti e riflessioni sulle tematiche riguardanti la parità di genere e nello specifico la maternità. Tralasciando ovviamente ogni giudizio politico, che esula da questo contesto, la questione di Giorgia Meloni candidata sindaco a Roma, può servire come spunto per trattare in maniera più ampia la questione dell’autodeterminazione femminile. Indipendentemente da come ognuno la possa pensare sulla possibilità o meno di conciliare la condizione di mamma con quella di sindaco di una grande città, fermiamoci a riflettere sul motivo per cui taluni si sentono in dovere di consigliare/decidere cosa sia meglio per un’altra persona, nella maggioranza dei casi di una donna. Tutto ciò deve far pensare e pone alcune domande: si sarebbe sentita la stessa frase in un altro Paese? Si è mai sentito consigliare ad un uomo di farsi da parte per fare il padre?
A mio avviso il caso è esemplificativo di un modo di pensare e di agire tipico della nostra cultura, che condiziona pesantemente il ruolo lavorativo (e non) della donna in Italia.
Ciò emerge anche dai nostri corsi in azienda riguardanti proprio la tematica del rientro al lavoro dalla maternità. Accade frequentemente che, in buona fede, i managers adottino due atteggiamenti antitetici rispetto alla lavoratrice madre.
Il primo è che la mamma non va discriminata in alcun modo, con la conseguenza che ci si comporta come se niente fosse accaduto, negando la nuova condizione di madre.
Nel secondo caso invece la mamma va aiutata e compresa nel suo nuovo ruolo, si mette in primo piano la nuova identità di madre negando, al contempo, l’identità professionale che passa in secondo piano. Un vero peccato dato che per molte mamme professioniste la maternità stessa ed il suo rientro possono rappresentare un momento nel quale continuare a investire nel lavoro.
In questo come in altri casi, la modalità più efficace di gestione, che massimizza il benessere della lavoratrice madre ed il benessere organizzativo, è quello di aprire un canale di comunicazione vero, di confronto aperto e di negoziazione integrativa delle rispettive esigenze.
Nella cultura aziendale italiana è purtroppo diffusa l’idea che una donna con figli quando e se tornerà al lavoro non desidererà più viaggiare o il suo impegno e rendimento saranno minori. Ma questo è uno stereotipo del quale si deve essere consapevoli. Le madri non sono tutte uguali ed ogni mamma è mamma a modo suo, con modalità e desideri diversi a seconda della propria personale situazione famigliare e lavorativa. E’ quindi importante da entrambe le parti (madre lavoratrice e organizzazione), evitare l’applicazione di modelli rigidi di lettura o di visioni stereotipate che, anche se agiti con la massima buona fede, possono produrre generalizzazioni poco malleabili.
Certi atteggiamenti paternalistici poi non fanno che perpetrare vecchi modelli e si scontrano con il desiderio legittimo di ognuno all’auto-derterminazione. Individui differenti si traducono in esigenze, scelte e soluzioni differenti. Si deve quindi cercare di evitare l’applicazione di atteggiamenti miopi che precludono soluzioni alternative a favore di quelle già conosciute. Questo nel concreto vuol dire essere aperti a scelte innovative e insolite, che non vanno giudicate ed etichettate a priori: ci sono brave professioniste che dopo la maternità decidono di dedicarsi in toto alla famiglia, esistono anche madri di tre figli che optano invece per un lavoro a tempo pieno, troviamo neo padri che si dedicano ai propri bambini in maniera totalitaria e ci sono giovani professionisti che lavorano part-time o con ritmi diversi dai “soliti” per seguire anche le passioni sportive…e questi sono solo alcuni esempi.
Il prendere decisioni per altri, anche se in buona fede, preclude inoltre la possibilità di scelta e in certi casi anche di errore, cosa di per sé non negativa ma fonte importante di apprendimento. Imparare a valutare le persone in base agli obiettivi raggiunti e non al tempo impiegato è un altro fattore fondamentale da prendere in considerazione, sul quale in Italia c’è ancora molto da lavorare.
Per concludere, in Italia, se si vuole aumentare la presenza di donne al lavoro (46,8%) e innalzare il nostro indice di natalità (1,39 figli per donna, tra i più bassi del mondo), c’è un’estrema necessità di role model differenti ai quali le donne possano ispirarsi. Ben vengano quindi nuovi modelli non stereotipati di conciliazione vita e lavoro sia per le donne ma anche per gli uomini.