Fare luce sulle ombre della maternità è un compito ingrato ma necessario per liberare le donne dallo stereotipo della mamma perfetta, capace, presente sempre e comunque. Stereotipo aspirazionale quanto finto ed idealizzato da cui tante donne oggi rifuggono rinviando, o rinunciando, alla possibilità di diventare madre.
Chi poteva instillare il dubbio sulla desiderabilità assoluta del ruolo materno se non colei che oggi incarna il lato oscuro del femminile: autodeterminazione, perfidia e crudeltà?
Chi se non Claire Underwood il personaggio femminile che, agendo a perfezione l’ambivalenza dell’esistenza, rappresenta la donna che tutte noi, almeno in qualche momento, vorremmo essere e contemporaneamente non essere mai?
Negli ultimi anni tutti avranno sentito parlate di House of Cards,
la serie che racconta i retroscena della politica americana e gli intrighi, in tono noire, della scalata alla Casa Bianca della coppia Underwood.
Frank, da ragazzo della sperduta provincia americana, dalle dubbie origini e capacità, sposa la bella, ricca e talentuosa Claire, figlia di una famosa famiglia texana.
Insieme contro tutto e tutti (anche loro stessi) raggiungono l’apice del mondo.
Ma qui è il personaggio di Claire che ci interessa, di uomini di potere cattivi e spregiudicati ce ne sono molti nella storia, come nelle fiction. Ma è lei che non ti aspetti e ti sorprende ad ogni episodio. Se nella nostra mente gli stereotipi correlano da sempre bellezza a bontà e dolcezza, lei li frantuma in un istante lasciandoci sdegnate, amareggiate ma in fondo anche compiaciute.
Nella corsa alla rielezione però compare una giovane e bella coppia, iconografia del sogno americano, che oltre alla giovane età è anche più in linea con la tradizione americana con due figli ancora piccoli e vivaci, spontanei ma educatissimi: la copia perfetta del piccolo Jhon Jhon Kennedy.
Gli Underwood non hanno figli, e certo non è casuale, Claire non potrebbe essere credibile in quel ruolo di donna spietata e spregiudicata se fosse anche madre. Sono tutte buone le madri del mondo.
Durante un colloquio informale l’aspirante First Lady, Hannah Conway, la tipica ‘fidanzata d’America’, con spontanea malizia incalza Claire: “E’ stato un problema per lei non avere avuto figli?” Per poi correggersi subito dopo scusandosi per la domanda inopportuna.
Ma Claire – impassibile, acuta e spietata – risponde senza scomporsi: “E per lei invece, lo è stato averne?”
Ci sono un briciolo di secondi di silenzio dopo la frase in cui la candidata First Lady rimane sorpresa, incredula, spaesata, davanti ad una domanda che supera il livello di sconvenienza e che arriva all’indicibile, proprio il territorio attraverso il quale Claire spesso ci conduce e ci costringe a guardare.
Secondi che valgono più di tante dissertazioni.
Momenti in cui molte di noi madri si sono trovate a guardare indietro a quel cambio identitario irreversibile che è la maternità e che porta con sé luci ed ombre.
Ombre come ad esempio non essere così felici ed appagate come è supposto che sia, oppure il doversi sacrificare sempre e comunque in virtù di un bene superiore.
Certamente queste sono ombre che attraversano i pensieri di noi mamme raramente e che velocemente vengono dissolte dal sorriso e dalla presenza dei nostri figli, ma non per questo vanno negate o rimosse perché ci fanno sentire sbagliate, diverse, cattive, portandoci poi ad agire questi sentimenti, in modo più o meno inconscio, proprio sui nostri figli che sono vicini, più deboli e a disposizione.
Su questo sfondo, anche la sociologia sta intercettando l’emergere del fenomeno ed il relativo bisogno di parlare delle ombre della maternità. E’ dell’inizio di quest’anno l’uscita del libro “Regretting Motherood” (Madri Pentite) della sociologa Israeliana Orna Donath, la quale indaga i vissuti delle madri, che pur amando ed accudendo i propri figli, si pentono della scelta intrapresa e, se possibile, tornerebbero indietro.
Nelle parole della sociologa: “Per la nostra società una donna raggiunge l’apice della vita e si realizza diventando mamma. La verità è che per alcune la maternità è una condanna. La mia ricerca nasce per dare attenzione a questo disagio di cui non si conoscono i numeri perché mette in discussione una grande certezza: la divinizzazione della Madre”.
Solo dando diritto di cittadinanza alle nostre ombre, difficoltà, insoddisfazioni possiamo recuperare il ruolo di madre nella sua realtà.
Grazie, Claire, che dai voce al lato oscuro del ruolo di madre, tenendolo a distanza di sicurezza dalla comodità del nostro divano.