La notizia è ufficiale da qualche giorno: le scuole in Italia non riapriranno se non a settembre. È maggiormente probabile la ripartenza del campionato di calcio prima di quella didattica. Una triste realtà, un pesante silenzio e quasi nessuno che “alzi la voce” su questo tema. Altri Paesi europei si sono mossi o si stanno muovendo in direzioni diverse: Danimarca e Norvegia hanno già riaperto. La Francia, probabilmente, tornerà sui banchi in maniera progressiva nei prossimi giorni anche per permettere ai genitori di lavorare. Nel Regno Unito ed in Germania, anche in periodo di lockdown, la scuola è rimasta “aperta” per accogliere i figli dei lavoratori dei servizi pubblici essenziali (ospedali, trasporti, polizia, supermercati etc.).
Quella che stiamo vivendo da circa due mesi è una situazione stra-ordinaria, vissuta in parziale e precario equilibrio e di cui ancora non si conoscono esattamente le conseguenze. Padri e madri hanno interpretato una molteplicità di ruoli: genitori, insegnanti, professionisti, badanti, coniugi, colf, dog sitter e ci siamo resi conto che il tempo – nonostante fossimo tutti a casa – non basta davvero mai. La difficoltà di gestire più ruoli all’interno della stessa giornata e nello stesso spazio è sicuramente una sfida ardua e complicata, sia a livello identitario che professionale. L’abbiamo sperimentato in questi giorni: home schooling e home working (questo non è smart working) non possono coesistere per lunghi periodi.
C’è però anche un lato positivo. La convivenza forzata h 24 ha probabilmente reso tutti più consapevoli delle distribuzioni dei carichi all’interno della famiglia. Durante il lockdown è emerso il lavoro invisibile che molte madri ed alcuni (ancora troppo pochi) padri portano avanti nella quotidianità. In alcun casi è stata un’utile palestra di condivisione di ruoli diversi e ha forse scardinato qualche vecchia modalità di suddivisione dei compiti. Provare a mantenere le buone abitudini acquisite anche al di fuori della quarantena potrebbe agevolare il passaggio dalla conciliazione alla condivisione. Di fatto la prima conciliazione è quella che si sperimenta all’interno della propria famiglia, difficile discutere di work-life balance in azienda se prima questo tema non è stato affrontato in casa. Rendiamoci proattivi nel condividere la ridistribuzione dei carichi famigliari e domestici innanzitutto con il nostro partner e, compatibilmente alla loro età, anche con i figli.
È impensabile che, con la ripresa delle attività lavorative di inizio maggio, si riapplichi su larghissima scala il modello che in Italia scarica sulle famiglie la responsabilità della gestione famigliare. Qualche dato l’abbiamo già visto con la ripresa del 4 maggio. Questa volta non sarà possibile nemmeno appoggiarsi a nonni, zie e affini, il vero welfare italiano. La mancanza di una rete di sostegno, oltre a quella dei parenti, è una situazione che nel nostro Paese conosciamo molto bene e che l’emergenza sanitaria in corso ha portato sotto i riflettori. L’Italia è una delle nazioni più de-natali al mondo (tasso di fecondità: 1,32 – Istat 2019) ed al contempo con uno dei tassi di occupazione femminile tra i più bassi in Europa (50,1% Istat 2019).
Quello dell’occupazione femminile è l’altro aspetto preoccupante dello slittamento della riapertura delle scuole e della mancanza di una rete di sostegno estiva: molte donne, probabilmente, saranno costrette a compiere scelte difficili che, alla lunga, non aiutano né le famiglie né l’economia del nostro Paese. I primi dati riguardanti la ripresa delle attività lavorative della scorsa settimana parlano chiaro: la pandemia aggrava la condizione femminile, il 72% dei lavoratori rientrati il 4 maggio, infatti, sono uomini. Nei prossimi mesi molti nuclei famigliari saranno messi di fronte ad un bivio: come conciliare la gestione dei figli con il lavoro? Il rischio è quello di dover prendere periodi di congedo straordinario non retribuito o nella peggiore delle ipotesi di dover scegliere a quale delle due professioni rinunciare per far fronte a questa emergenza. Nella stragrande maggioranza dei casi il lavoro che in qualche modo verrà sacrificato sarà quello delle donne. Questo accadrà per questioni culturali ed economiche, perché purtroppo il modello del breadwinner e gli stereotipi di genere, che assegnano alle donne ruoli e compiti famigliari che in altri Paesi sono condivisi in maniera equa, In Italia sono ancora molto radicati. Il pericolo è quello di un drammatico passo indietro per la condizione femminile, che non ci possiamo permettere.
Il problema è complesso e sfidante, il diritto alla salute viene prima di tutto, certo, ma non possiamo far passare il messaggio che la scuola sia l’ultima delle priorità. È doveroso almeno parlarne e non dare per scontato che le famiglie con figli in età scolare in qualche modo se la caveranno. Gli strumenti che altri Stati stanno testando sono diversi. Si parla di ritornare sui banchi in maniera progressiva, di utilizzare spazi alternativi, di stabilire turni, di alternare la didattica in presenza a quella da remoto, solo per citarne alcuni. Pensare e sperimentare nuove modalità consentirebbe – oltre al sacrosanto diritto all’istruzione – anche la giusta conciliazione tra tempi famigliari e lavorativi.
È indispensabile trovare una soluzione differente dal procrastinare a settembre la questione. La riapertura delle attività produttive non è prioritaria rispetto alla questione didattica. Sono due parti di uno stesso sistema che deve essere pensato in maniera integrata e non sequenziale.
Raddoppiare il bonus babysitter, aumentare i giorni di congedo parentale o promuovere un uso più frequente dello smart working non sono risposte che singolarmente risolveranno la questione. E non è possibile nemmeno demandare totalmente alle aziende la gestione delle tematiche di work-life balance. Serve una risposta strutturata che promuova una crescita sostenibile e tenga conto dei diversi attori: famiglia, azienda e Stato.
È necessario ripensare i pilastri portanti di un modello organizzativo inefficiente che l’emergenza sta mettendo in discussione. Prendere decisioni in questo periodo è alquanto complicato, ma anche sfidante. Perché non approfittarne e provare a ripartire con scelte differenti e soluzioni innovative che tentino di scardinare arcaici sistemi di work-life balance, forse compatibili con una società come quella degli anni ‘60/‘70, ma anacronistici rispetto alle attuali esigenze. Ripensiamo a nuove politiche pubbliche e sociali, che siano funzionali ad imprese e famiglie, e che non scarichino sulle donne il peso della gestione famigliare.
Aspettare un ritorno della normalità, che ci aveva resi uno dei Paesi più denatali al mondo e con uno dei tassi di occupazione femminile più bassi in Europa non può essere la soluzione
Parliamone e ascoltiamo le esigenze delle famiglie con figli nei luoghi dove vengono assunte le decisioni.
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Alla considerazione fatta in questi giorni dalla Ministra in merito alla didattica a distanza che è stato un successo mi chiedevo proprio un successo per chi? Perché non provano a somministrare un questionario per valutare la DAD, ai ragazzi e ai genitori, che ci stiamo sobbarcando, soprattutto le mamme, anche il ruolo di insegnante, tra tutti gli altri.
Io ho tre figli, le due universitarie sono autonome è con le loro difficoltà stanno affrontando le nuove modalità di lezioni e esami, ma il piccolo, 12 anni , che frequenta la II media, ad oggi fa da 1 a max 3 ore di videolezioni, non tutte le materie ne tutti i giorni, non è autonomo nel barcamenarsi nelle varie piattaforme e quindi mi ritrovo a doverlo seguire e non sempre ci si riesce.
Ma se la situazione, con tante difficoltà se si sta accettando per l’ultimo periodo dell’anno scolastico, è impensabile che possa pensarsi di replicare per il nuovo anno scolastico, ciò creerebbe grossi problemi nella gestione familiare ma soprattutto andrebbe ad arrecare seri danni ai ragazzi, nell’apprendimento scolastico ma soprattutto nell’aspetto della crescita personale, legata alla relazione fondamentali con i compagni e gli insegnanti.
Buongiorno Milena,
anch’io come lei condivido in pieno i timori che alla lunga una situazione di questo tipo possa arrecare. Non parlo solo di conciliazione, ma mi riferisco proprio alla presunta validità di un sistema di insegnamento da remoto come quello che i ns. ragazzi stanno sperimentando in questi mesi. I problemi della DAD sono tanti e di alcuni effetti ci accorgeremo solo con il tempo. Le dichiarazioni della ministra mi lasciano molto perplessa perchè sembrano descrivere solo una parte di realtà, facendo finta di non voler vedere molte altre situazioni. Bisogna in tutti i modi attivarsi perchè si torni al piu’ presto ad una regolarità scolastica in presenza. I danni, soprattutto ma non solo, per una certa fascia di studenti, potrebbero essere irreversibili.