Il numero delle donne in politica negli ultimi anni è aumentato, ma la presenza femminile nei centri di potere rimane ancora minoritaria.
Le donne sono ancora lontane dai budget più consistenti e dalle deleghe sulle questioni economiche. Ciò accade in Italia come negli altri paesi europei, senza particolari distinzioni.
Basti pensare che Angela Merkel in Germania e Beata Szydło in Polonia sono le uniche presenze femminili a guidare un esecutivo in Europa. Una “parità-spot” la definisce l’osservatorio civico Open Polis che ha pubblicato, all’inizio dell’anno, il dossier ‘Trova l’intrusa’, analizzando i dati relativi a oltre 140mila politici con incarichi sia in Europa sia in Italia, anche a livello locale. Chiari i risultati: le donne in politica si muovono entro i confini segnati da due diversi recinti: il cosiddetto soffitto di cristallo preclude le cariche apicali, mentre un altro blocco le confina in settori ritenuti tipicamente femminili, quali welfare, cura delle persone e istruzione.
E’ significativo che in nessuno dei paesi dell’Unione Europea vi sia una ministra all’economia.
Il dossier ha poi esaminato, in Italia, i ruoli ricoperti dalle donne a livello nazionale e negli Enti Locali.
Negli ultimi tre anni le amministratrici comunali sono aumentate del 39%, anche grazie alla Legge 215/2012 che ha disciplinato l’equilibrio di genere nelle istituzioni locali; ciononostante i sindaci sono, nell’86% dei casi, uomini. Il numero di donne è, comunque, gradualmente aumentato in molti Parlamenti dei 28 paesi dell’Unione Europea e nello stesso Europarlamento vi è il 37% di presenza femminile.
Eppure, in ben 17 di questi paesi, le donne non arrivano a comporre neppure un terzo delle assemblee elette e mai raggiungono il 50%. Unico primato è quello della Svezia che arriva al 44%. E se l’Italia, per la prima volta nella storia, si colloca nella metà alta della classifica europea per la presenza di donne in parlamento (31,3% alla Camera e 29,6% al Senato), in pochi casi, purtroppo, si tratta di Presidenti di commissione o gruppo.
Anche a livello nazionale, infatti, restano troppo spesso off limits i ruoli apicali a causa della “segregazione” cui si accennava in precedenza.
La presidente della Camera, Laura Boldrini, è anche per funzione unica presidente di giunta. La presidenza di gruppi parlamentari è appannaggio di tre donne: Cinzia Bonfrisco (Cor), Nunzia Catalfo (M5S) e Loredana De Petris (Si-Sel/Misto).
Ci sono voluti quasi trent’anni per avere, nella nostra storia repubblicana, almeno una donna al governo.
La prima ministra è stata Tina Anselmi, componente del governo Andreotti III nel 1976. Eppure è solo dal 2006 in poi che la presenza femminile non scende più sotto il 10%.
Il Governo Renzi ha nominato 8 ministre su 16 ma la nomina dei viceministri e sottosegretari ha visto scendere la presenza femminile dal 50% al 26%. Nelle giunte degli enti locali si riscontra quasi il doppio di presenze (35%) rispetto alle elette nei consigli regionali (18%) ma, anche in questi casi, è difficile che le deleghe al bilancio siano affidate alle donne. Anche le Presidenti di Regione sono un numero esiguo, in Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani (Pd) e in Umbria Catiuscia Marini (Pd).
Quanto ha inciso la legge sulla doppia preferenza di genere e l’alternanza donna uomo nelle composizione delle liste? La legge n.215/2012 ha introdotto, per l’elezione negli Enti locali, i due meccanismi pensati per riequilibrare la presenza dei generi nelle assemblee elettive. Un trend positivo si è registrato in quanto, in tre anni, la quota di amministratrici è aumentata del 38,83% e si rileva che la legge non ha ancora dispiegato in pieno i suoi effetti. Bisognerà attendere il 2017 per verificare i dati ottenuti con i rinnovi dei consigli comunali.
La strada per raggiungere l’effettiva parità di genere anche in politica si prospetta ancora lunga anche se, indubbiamente, alcuni passi importanti sono stati fatti.