Donne Lavoro e Management

Donne medico: ancora tanta strada da fare per la parità

Scritto da Adele Mapelli

Nella settimana dell’8 marzo ho avuto il piacere di partecipare ad un evento dedicato alle donne medico. Professioniste bravissime dal punto di tecnico, piene di energia, con tanta voglia di fare, molto attente alla qualità di vita dei propri pazienti spesso con malattie degenerative. Ma donne molto affaticate dal punto di vista emotivo, spesso sole in contesti molto maschili, così stanche nel bilanciare la propria vita lavorativa e quella personale da scegliere di rinunciare alla carriera a favore della vita privata o comunque a doversi impegnarsi molto più dei loro colleghi uomini per raggiungere, forse, lo stesso obiettivo.

Eppure le premesse per la valorizzazione delle donne nell’ambito medico sembravano buone, molto buone: “La donna ha l’istituto, ha l’arte del medicare, anche quando non ha la scienza; ma questa potendosi avere da ogni cervello sano, ne viene che essa costituisce il medico perfetto; mancando spesso nell’uomo l’arte, spessissimo il cuore”.

Così, nel suo “Le tre Grazie”, il famoso medico igienista Paolo Mantegazza delineava chiaramente il concetto che aveva della donna medico nel 1883, lo stesso periodo in cui si è laureata proprio in Medicina e Chirurgia la prima donna in Italia: si tratta di Ernestina Paper, russa ed ebrea che dal ghetto di Odessa è andata a studiare in Svizzera, la nazione europea che, per prima, ha aperto alle donne le sue Università e tutte le Facoltà, anche quelle tecnico-scientifiche. Arrivò poi in Italia e nel 1877 ottenne la laurea. Dal momento che si era trasferita da altra Università, Ernestina non aveva incontrato l’ostacolo che invece ha bloccato molte ragazze italiane: quello cioè di diplomarsi in una scuola superiore idonea all’iscrizione all’Università, cioè il liceo classico o un istituto tecnico, sezione fisico-matematica, per l’accesso alle Facoltà scientifiche. In realtà è bene sottolineare che non esisteva nessun impedimento normativo circa la presenza di ragazze nei licei e negli istituti tecnici: gli impedimenti traevano origine dai dubbi sulla coeducazione, vale a dire dall’istruzione in comune dei due sessi in classi e scuole ‘miste’. D’altro canto in quegli anni lo scarso numero di iscrizioni femminili non aveva consentito di realizzare il separatismo scolastico con la creazione di licei totalmente femminili.

Bisogna quindi attendere il 1883 quando venne pubblicata una circolare del Ministero Pubblica Istruzione che diede la possibilità alle ragazze di iscriversi a tutte le scuole superiori: il numero delle ragazze iscritte ai licei e agli istituti tecnici cominciò lentamente, ma costantemente, a crescere tanto che alla fine del secolo, le presenza femminile nelle scuole tradizionalmente maschili era ormai assodata.

Questo è il passato. Ma qual è la situazione delle donne medico oggi in Italia?

Partiamo dai percorsi universitari. Oggi i dati ci dicono che le donne:

  • Rappresentano il 56% degli iscritti a medicina;
  • Concludono gli studi brillantemente (punteggio medio 107/110) e rapidamente (26,5 anni l’età media alla laurea)
  • Nella fascia d’età 25-40 anni hanno superato gli uomini per iscritti agli albi.

Nel 2012 si è tenuto a Roma la prima Conferenza nazionale donne Anaao Assomed «Donne in medicina. Una sfida per la sanità del futuro» ed è stata l’occasione per fare il punto della situazione sulle donne medico che lavorano negli ospedali pubblici e che oggi rappresentano il 40% del totale. Nella fascia 25-29 anni, il 63% è donna; fra i 30 e i 34 anni lo è il 62,73%, dai 35 ai 39 anni il 62% e sostanziale pareggio nella fascia tra i 40 e i 44 (53%). Per arrivare ad una netta maggioranza degli uomini bisogna aspettare la soglia dei 50 anni e nella fascia d’età che va dai 60 ai 69 anni solo il 18,9% dei medici è donna (dati Onaosi 2012).

Altro dato interessante: la presenza femminile inizia lentamente a coinvolgere anche quelle branche specialistiche storicamente appannaggio dell’universo maschile (neurochirurgia e cardiochirurgia), ma è ancora lunga la strada delle pari opportunità nei posti di potere.

Infatti, le donne che ricoprono incarichi di direttore di struttura complessa sono il 14% (1.272 vs 10.154 uomini) e le donne al comando di una struttura semplice sono 5.267, contro 18.472 uomini (il 28%). Solo il 9% dei Direttori Generali è donna (25 donne contro 273 uomini) e anche raggruppando insieme direttore generale, sanitario, amministrativo e dei servizi sociali non si arriva al 18% delle presenze rosa.

Non solo: il 30% delle donne che ricoprono un ruolo importante e di rilievo è single o separata (contro il 10% degli uomini) e una donna medico su tre non ha figli mentre per gli uomini la percentuale si abbassa a circa uno su cinque (13%).

Donne medicoLe cause? Nulla di nuovo purtroppo: inconciliabilità tra i tempi di lavoro e personali e carriera rallentata (ma, nella maggior parte dei casi interrotta) dalla maternità.
Davvero uno spreco di talenti, come direbbe Luisa Rosti, professoressa ordinaria di Politica economica all’Università di Pavia. Tanto più che uno studio condotto da Yusuke Tsugawa, Anupam Jena e Jose Figueroa, ricercatori della Harvard University, “Comparison of Hospital Mortality and Readmission Rates for Medicare Patients Treated by Male vs Female Physicians” pubblicato nel dicembre del 2016 sul Jama Internal Medicine rivela che le donne tendono a fornire una cura migliore al paziente.

La ricerca ha analizzato i dati di oltre un milione e mezzo di visite ospedaliere di ultrasessantacinquenni negli States nell’arco di quattro anni, a partire dal 1° gennaio 2011, al 31 dicembre 2014. Entro 30 giorni dall’arrivo in ospedale, i pazienti trattati da medici di sesso femminile hanno mostrato tassi significativamente più bassi di mortalità (11,07% vs 11,49%) e di nuove ospedalizzazioni (15.02 % vs 15,57%) rispetto a quelli curati da medici di sesso maschile all’interno dello stesso ospedale.

Rispettivamente il rischio relativo diminuisce del 4 e del 5%: numeri che secondo i ricercatori porterebbero alla diminuzione di 32mila morti all’anno tra gli americani, se fossero tutti trattati da professioniste donne.

Autore

Adele Mapelli

Dopo un Master in SDA Bocconi School of Management, è stata per quindici anni Professor di SDA Bocconi e coordinatrice dell’Osservatorio Diversity Management dal 2008 al 2013. Oggi si occupa di consulenza HR per la gestione e lo sviluppo delle risorse umane e di formazione sui temi del comportamento organizzativo e della diversity&inclusion. È autrice di numerosi articoli e pubblicazioni sui temi legati alla gestione e alla valorizzazione della diversità nelle organizzazioni: con L. Girelli ha scritto "Genitori al lavoro. L'arte di integrare figli, lavoro, vita", Guerini, 2016; con S. Cuomo ha pubblicato "Engagement e carriera: il peso dell’età", Egea, 2014; "La flessibilità paga. Perché misurare i risultati e non il tempo", Egea, 2012; "Un posto in CDA. Costruire valore attraverso la diversità di genere", Egea, 2012; "Maternità, quanto ci costi? Una analisi estensiva nelle imprese italiane", Guerini, 2009; "Diversity Management. Gestire e valorizzare le differenze individuali nell’organizzazione che cambia", Guerini, 2007.

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