Donne Lavoro e Management

Le donne nelle forze armate

Scritto da Ilaria Li Vigni
I dati del 2016 sono indicativi: più di 11 mila donne appartengono, in Italia, alle forze armate.

Stando all’ultima relazione sullo stato della disciplina militare trasmessa dal Governo al Parlamento, al 31 dicembre 2016 l’Italia poteva contare su 11.895 donne militari, 1.340 ufficiali, 1.374 sottufficiali, 9.181 tra graduati, militari di truppa e allieve nelle varie scuole di addestramento.

Quindi, circa il 5% degli appartenenti alle nostre forze armate sono donne, numero questo abbastanza significativo, non tanto per la quantità quanto per il recente ingresso della componente femminile nelle forze armate.

Da quando, infatti, nel 2000, l’arruolamento è stato aperto anche alle donne, le nostre forze armate si sono tinte di rosa, anche se, indubbiamente, a riconoscere la parità di genere e quindi a consentire alle donne di indossare la divisa siamo stati lenti, ultimi tra i Paesi aderenti alla Nato.

La totale parità, ancora da raggiungere, deve riguardare, come si approfondirà in seguito, ruoli apicali e funzioni che le donne possano, concretamente, svolgere all’interno delle forze armate.

Nei primi anni successivi all’apertura degli arruolamenti, era precluso al personale femminile il servizio nei sottomarini, per evidenti problemi di spazio e impossibilità di creare ambienti separati.
Oggi, invece, gli impieghi sono in tutto e per tutto uguali agli uomini.
Abbiamo pilote di aerei ed elicotteri, negli equipaggi di carri armati, imbarcate nelle unità della Marina militare e anche bersagliere, alpine e paracadutiste.

Unica eccezione, i reparti speciali delle forze armate in cui ancora non si ha presenza femminile in quanto i test fisici di accesso sono molto severi e si riferiscono, per ora, a parametri prettamente maschili. Cospicua, invece, la presenza femminile nelle missioni internazionali di pace in Iraq, Libia, Kosovo e Lituania.
Ancora strada da fare per le posizioni di potere nelle forze armate, delle 11.895 militari in servizio, infatti, solo 1340 sono ufficiali e poche quelle che ricoprono ruoli di vertice di corpi o sottocorpi.

Si ricorda la titubanza di molti politici, sociologi, esponenti della società civile quando, ormai quasi vent’anni fa, le caserme vennero aperte alle donne. Passaggio epocale che arrivò unitamente alla fine della leva obbligatoria, tappa decisiva per la maggior professionalizzazione delle nostre forze armate.

L’ingresso del personale femminile ha accompagnato una transizione storica aiutando, non poco, la trasformazione dei reparti. Infatti, la presenza delle donne ha finito per normalizzare le relazioni all’interno di presidi e caserme, contribuendo a ridurre drasticamente vecchi rituali di nonnismo e a rendere sensibilmente moderno l’ambiente, arricchendolo di qualità e competenze.

Negli altri Paesi europei la situazione è paragonabile a quella italiana, pur considerando che la componente femminile delle forze armate esiste da molto più tempo.

In Francia, dove vengono reclutate da ormai 50 anni, le donne rappresentano il 10% del personale militare e sono sostanzialmente distribuite in tutti i corpi militari, fatta eccezione per quelli speciali. Nel Regno Unito la percentuale è simile, anche se il personale femminile non può essere impiegato in diversi corpi, tra cui i Royal Marines, i reparti di Cavalleria e di Fanteria, rimanendo alcune specialità militari ad esclusivo appannaggio maschile. Nelle forze armate tedesche, le donne hanno una presenza simile a quella Italiana, attorno al 5% del totale.

Diverse, semmai, le carriere e la presenza femminile nei gradi più alti delle forze armate, del tutto assenti in Italia.
Tuttavia, in questo caso, non possiamo parlare di discriminazione ma di tempi, in quanto i primi arruolamenti femminili risalgono al 2000 e bisognerà attendere almeno otto anni per poter avere la prima ufficiale valutata, per l’avanzamento, al grado di colonnella.

Si dovrà poi effettivamente verificare se non sussistano gap di genere nei ruoli apicali, come purtroppo ancora succede in molti i settori della Pubblica Amministrazione, nonostante la presenza femminile sia da più tempo sedimentata.

Per rendere effettiva la parità di genere occorre lavorare sulle cosiddette azioni positive per le lavoratrici, in particolare in un settore così complesso per la gestione quotidiana del tempo come le forze armate. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità di conciliare professione e vita familiare, soprattutto in presenza di figli piccoli. Risulta che, ad oggi, siano stati investiti 12 milioni di euro per la costruzione di asili e spazi giochi custoditi all’interno di alcune tra le più grandi caserme italiane.
La prima struttura è già stata inaugurata a Roma e, presto, ne arriveranno altre, in quanto il Ministero della difesa ha in progetto di stanziare altri fondi per tale scopo.

Infatti solo rendendo moderna la visione del ruolo della donna nelle forze dell’ordine si potrà raggiungere la parità in questo settore così storicamente maschile.

Autore

Ilaria Li Vigni

Avvocata penalista, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano e specializzata in diritto penale dell’economia, reati contro la Pubblica Amministrazione, contro la persona e la famiglia. Consigliere dell’Ordine regionale dei Giornalisti. Consulente legale Consolato USA a Milano. Si occupa di tematiche di genere nell’avvocatura, coordinando corsi di formazione in materia di diritto antidiscriminatorio e pari opportunità e leadership presso le Istituzioni Forensi e le Università. Giornalista pubblicista e autrice di saggi.

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