L’articolo integrale è apparso su CUOASPACE: https://www.cuoaspace.it/2020/02/limpresa-in-ascolto-la-societa-plurale-e-il-capitale-umano.html
Viviamo a pieno titolo nell’era della società plurale e sperimentiamo tutti i giorni situazioni in cui genere e generazioni, etnie e culture, lingue e stili di vita si incrociano e si amalgamano.
Questa pluralità bussa alla porta delle imprese, ma sono ancora poche quelle in cui l’organizzazione interna rispecchia la pluralità esterna:
- i cicli di vita professionali si allungano (visto che l’età della pensione si allontana) e quanto più si matura, tanto più si riduce la propensione alla mobilità: quindi, gli organici aziendali tendono ad essere stanziali;
- le incertezze economiche e la crisi demografica ostacolano quei «ricambi generazionali» necessari per portare all’interno il cambiamento in atto.
Questa situazione è critica per le (tante) imprese che da un lato hanno bisogno delle competenze consolidate delle persone mature e dall’altro non possono fare a meno delle nuove competenze delle generazioni giovani.
Perché è strategico generare costantemente pluralità all’interno dell’impresa?
Si tratta di un approccio che va oltre il politically correct e alle abili operazioni di marketing per attrarre persone o evitare attacchi al brand. Riguarda invece azioni che producono concreti risvolti economici, al fine di aumentare la competitività aziendale e generare valore.
Già nel 2015, in Diversity Matters, un report di ricerca di Mckinsey Quarterly a firma di Vivian Hunt, Dennis Layton e Sara Prince segnalava che la pluralità, o meglio le pratiche di inclusione:
- diminuiscono i costi, di assenteismo o di ricerca di nuovo personale;
- aumenta l’impegno individuale delle persone che, gratificate, saranno sempre più engaged nelle loro attività;
- genera maggiore propensione all’innovazione.
In altri termini, se l’ambiente di lavoro adotta politiche di inclusione e valorizzazione del capitale umano aumenta la propensione ad esprimere idee, proposte e innovazioni, che arricchiscono il patrimonio culturale e generativo dell’azienda e sviluppano strategie di business uniche e divergenti dal passato.
La pluralità, pertanto, si può deliberatamente progettare: ma come gestirla?
L’esperienza professionale suggerisce diverse azioni per gestire la pluralità in modo efficace ed efficiente:
- Percorsi di consapevolezza dei motivi personali di non-inclusione | Mappe mentali, stereotipi e pregiudizi di cui tutti siamo affetti vanno esplicitati e accettati, per fare in modo che l’accettazione di sé possa far rispettare e includere meglio anche le altre persone;
- Ascolto dei bisogni delle persone | Mettersi all’ascolto significa intercettare le esigenze dei propri collaboratori, per elaborare pratiche di gestione capaci di soddisfare i bisogni bilanciando le esigenze aziendali: così come si raccolgono feedback e suggerimenti dagli agognati clienti, così andrebbero raccolti in modo sistematico quelli della propria squadra per andare poi ad inserire nelle politiche di welfare risposte adeguate e in continuo sviluppo;
- Accompagnamento per l’evoluzione delle competenze hard e soft | La pluralità passa anche attraverso la condivisione di linguaggi e strumenti in grado di supportare l’integrazione, che si possono acquisire attraverso azioni formative specifiche;
- Sviluppo di una leadership inclusiva | La sostenibilità di modelli organizzativi per la società plurale richiede lo sviluppo di una leadership inclusiva, che ha il compito di creare le condizioni all’interno del team per generare un alto livello di fiducia, valorizzando le differenze e di conseguenza rendendo tutti ascoltati, compresi e degni di considerazione.
La società plurale porta con sé la pluralità del capitale umano e ha bisogno di imprese in ascolto.
Non è un tema del tutto nuovo: nel 1990 lo scriveva Michel Crozier, uno dei più grandi sociologi dell’organizzazione del Novecento, in L’impresa in ascolto, con riferimento all’avvento del mondo post-industriale. Ma è un tema di nuovo attuale.