Gender Equality Grandangolo

Doppio cognome: situazione normativa e dubbi irrisolti

doppio cognome
Scritto da Ilaria Li Vigni
Un cammino giurisprudenziale verso la parità di genere

La sentenza della Corte Costituzionale n. 286/16 in tema di doppio cognome è il frutto di un cammino giurisprudenziale lungo e tortuoso (oltre che incompleto) verso l’affermazione della pari dignità tra generi.

La Consulta ha recepito in particolare le sollecitazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo da un lato e della Corte di Giustizia dall’altro. 

In Italia la disciplina dell’attribuzione del cognome paterno ad ogni nuova nascita non risulta espressamente prevista nel codice civile per la prole nata matrimonio, alla quale l’attribuzione del cognome del padre praticamente scaturiva da una sorta di scontata prassi collegata alla presunzione legale di paternità prevista dall’art. 231 cc. 

Oggi tale prassi trova una implicita disposizione ricavabile dagli artt. 33-34 dpr 396/2000 nella parte in cui il primo ha previsto espressamente tale prevalenza in caso di legittimazione (all’epoca ancora vigente) ed il secondo ha vietato (così come il precedente art.72 del R.d. 9 luglio 1939, n. 1238 – Ordinamento dello Stato Civile) l’attribuzione al neonato dello stesso nome del padre o di fratelli viventi, nell’evidente esigenza di evitare duplicazioni di identità tra i portatori dello stesso cognome.

Sentenza 286/16: un passo importante ma non determinante

Tornando alla Consulta, la sentenza 286/16, che pure va salutata come un passo certamente rilevante verso l’eliminazione di un trattamento discriminatorio nei confronti della donna in linea con le decisioni della Corte dei diritti dell’uomo e Corte di Giustizia, tuttavia non elimina la non più giustificabile disparità di trattamento, in quanto lascia comunque irrisolte una serie di questioni sia sul funzionamento del sistema nelle future generazioni sia sull’effettiva affermazione di un principio di pari dignità tra uomo e donna. 

La Consulta definisce il regime dell’attribuzione del patronimico senza mezzi termini come un «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e di una tramontata potestà maritale non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale tra uomo e donna».

L’impossibilità per i coniugi di attribuire fin dalla nascita ad un figlio o ad una figlia il doppio cognome, persino in presenza di una volontà comune dei genitori, viene così ritenuta pregiudizievole al diritto all’identità personale del minore e contestualmente «un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare».

La sentenza 286/16 modifica, drasticamente, il regime per l’attribuzione del cognome al momento della nascita, nel momento in cui l’ufficiale di stato civile deve chiedere al genitore che riconosce il figlio o la figlia quale cognome si intenda assegnare, se il solo paterno o anche quello materno, senza necessità alcuna di particolari prescrizioni. 

Già qui appare evidente la prima falla sul piano concreto, dal momento che il più delle volte sarà il padre a presentarsi all’ufficio stato civile, dove non sarà garantita in alcun modo nemmeno la certezza dell’informazione nei confronti della madre.

In sostanza, la prassi resta quella dell’attribuzione del cognome paterno a cui quello materno si potrà esclusivamente aggiungere (e per la precisione posporre), ma soltanto in presenza di accordo tra i genitori o per meglio dire di benevolenza del padre.

Il regime che scaturisce da questa pronuncia resta dunque discriminatorio nei confronti della donna.
In mancanza di accordo, anche la declaratoria di incostituzionalità mostra tutta la propria debolezza ed inadeguatezza.   

D’altronde, la circostanza che un numero ancora irrisorio di famiglie abbia colto l’opportunità data dalla sentenza si spiega probabilmente con la scarsa attività informativa resa dalle istituzioni, ma non solo.
Prima della sentenza era infatti impedita ai genitori l’attribuzione alla nascita di un cognome diverso da quello del solo padre, con la sola (incomprensibile) eventualità di presentare ricorso per l’aggiunta in un momento successivo; ora si offre una possibilità che resta tuttavia limitata all’ipotesi che anche il padre sia favorevole. 

Dunque, nessun diritto, ma solo una concessione. 

Circostanza, questa che verosimilmente ha costituito, insieme alla scarsa attività informativa, un decisivo freno alla diffusione del doppio cognome che per potersi affermare imporrebbe un intervento ben più energico del Legislatore che in qualche modo tuteli la donna e che non si limiti a riconoscerle una mera possibilità subordinata alla volontà del padre del nuovo nato, sia pure contemperando il diritto della madre con l’interesse del/la figlio/a che tuttavia non si vede come possa essere leso con l’attribuzione anche del cognome materno. 

Dopo la sentenza, rimane preclusa la possibilità di anteposizione del cognome materno rispetto a quello paterno, a meno che il figlio non venga riconosciuto esclusivamente dalla madre, come può accadere in caso di prole nata fuori dal matrimonio. 

Le condivisibili considerazioni poste alla base della sentenza della Consulta (soprattutto riguardo al valore dell’identità della persona, del riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali e del diritto della/del minore ad essere identificato sin dalla nascita attraverso l’attribuzione di entrambi i cognomi dei genitori) non trovano, quindi, compiuta tutela dal quadro aggiornato. 

Rimane la sostanziale debolezza del nuovo regime che impedisce solo in maniera parziale il protrarsi di una prassi che la stessa Consulta definisce «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia» ma che resta sostanzialmente in piedi.

Ad oggi, la decisione di identificare la prole con il doppio cognome è totalmente nelle mani del padre che non solo può avere l’ultima parola nella decisione e rendere impossibile il riconoscimento del cognome materno, ma è anche il soggetto che, nella quasi totalità dei casi, materialmente si reca a registrare la nascita mentre la madre è in ospedale. 

La necessità di un nuovo intervento in materia

A questa difficoltà di carattere pratico, si aggiunge quella teorica di cosa accadrà in futuro nell’incontro di figli di persone con più cognomi. 

Il rischio è che in mancanza di legge si possa determinare una situazione di caos, senza una chiara disciplina che chiarisca se si debbano trasmettere tutti i cognomi (producendo una moltiplicazione ingestibile) o solo uno a scelta, garantendo il mantenimento di due cognomi per le future generazioni. In questo secondo caso, si potrebbe contemperare il principio di pari dignità con quello dell‘identità personale. 

Un’altra scelta relativa alla trasmissione potrebbe riguardare infine solo il primo dei due, in ragione di un favor nei confronti del cognome paterno che la sentenza della Corte Costituzionale (consentendo solo la posposizione del cognome materno) continua a tenere in vita nonostante le buone intenzioni di cambiare pagina sul tema.

Appare, pertanto, non più rinviabile un intervento del legislatore che sappia disciplinare in maniera organica la materia attraverso un regime che garantisca tanto la pari dignità quanto la libera scelta, sia pure non assoluta, dei genitori.

Autore

Ilaria Li Vigni

Avvocata penalista, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano e specializzata in diritto penale dell’economia, reati contro la Pubblica Amministrazione, contro la persona e la famiglia. Consigliere dell’Ordine regionale dei Giornalisti. Consulente legale Consolato USA a Milano. Si occupa di tematiche di genere nell’avvocatura, coordinando corsi di formazione in materia di diritto antidiscriminatorio e pari opportunità e leadership presso le Istituzioni Forensi e le Università. Giornalista pubblicista e autrice di saggi.

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