Per molti anni, il cinema, le serie TV e la cultura in generale ci hanno restituito l’immaginario di un padre con alcune caratteristiche ben precise. Il padre, in giacca e cravatta e armato di ventiquattrore, esce presto la mattina per andare al lavoro e torna tardi, spesso stremato, la sera. A salutarlo, prima e dopo, c’è la moglie, rimasta a casa per occuparsi delle faccende domestiche e dei figli. È un padre che guida una bella auto, che si “spacca la schiena” per portare il pane a casa e che, per tutte queste ragioni, la sera o nel fine settimana ha il diritto di essere lasciato in pace e riposarsi. Le sue interazioni con il nucleo familiare sono principalmente ridotte, per così dire, a una funzione amministrativa delle finanze e normativa nei confronti dei figli.
Abbiamo chiesto ad alcuni padri contemporanei se e quanto questo immaginario sia ancora attuale nella nostra società e se certi stilemi si stiano disperdendo nell’attuale panorama culturale. Nello specifico, ce lo siamo fatti raccontare da Michele Rabaiotti ed Emanuele Serrelli, entrambi partner di Wise Growth, il primo responsabile dell’area Generazioni, il secondo responsabile dell’area Disabilità.
Ad arricchire i loro interventi, anche alcuni estratti del percorso “Padri, non mammi” dedicato ai papà che Wise Growth ha realizzato per Intesa Sanpaolo e che si è posto l’obiettivo di indagare i nuovi ruoli di cura in famiglia per sviluppare il diritto a una genitorialità lontana dagli stereotipi di genere.
Come è cambiato il “modello di padre” dal passato ad oggi? Quale evoluzione nel rapporto con le figure di riferimento, genitoriali e familiari?
L’immaginario paterno predominante fino a non molto tempo fa è stato fortemente sbilanciato sul versante normativo. Oggi invece, afferma Michele Rabaiotti: “il grande passaggio a cui abbiamo assistito è stato quello dalla figura normativa del padre a quella affettiva.” Parlando della sua esperienza personale come padre, prosegue: “oggi mi sento molto più vicino alla dimensione per cui il papà è una figura di supporto e di accompagnamento, educativa, che entra nel merito della gestione dei figli.”
I diversi e importanti movimenti storici e sociali, dal femminismo in poi, hanno fatto traballare il ruolo paterno più statico e tradizionale, consentendo ai nuovi papà di scoprire esperienze, stimoli e sfide inedite. Accanto al lavoro, che rimane una componente importante in termini identitari, “è nella funzione affettiva che oggi sento di giocare un ruolo importante. Lì ritrovo il piacere di stare con i figli e di essere il loro compagno di viaggio.”
La questione “epocale” si riverbera all’interno di nuovi equilibri familiari tali per cui “per la prima volta l’uomo fa parte della famiglia e non è esterno ad essa”, come afferma Emanuele Serrelli. Una tematica approfondita anche nel nostro libro Genitori al lavoro. Per quanto riguarda il rapporto con le proprie figure paterne, Serrelli prosegue dicendo che “ogni padre, e ogni genitore, deve fare i conti con i propri genitori interni. Allo stesso modo, ogni bambino ha due famiglie che si incontrano e che riflettono due culture familiari.”
Oggi si sta sviluppando una cultura della genitorialità più equa? Se sì, attraverso quali fenomeni e istanze?
Ridefinire i ruoli genitoriali all’interno della famiglia chiama in causa un altro tema molto attuale, quello del carico mentale. Dietro questo tema si cela un insieme di attività, oneri e preoccupazioni, specialmente legate ai compiti di cura, che sono tradizionalmente in capo alle madri. “Oggi il grande differenziale fra la figura del papà e della mamma è lo sbilanciamento di questo fenomeno – commenta Rabaiotti, che aggiunge – per fortuna, veniamo sollecitati come padri a una presa di posizione più equa”. Sul tema interviene anche Serrelli che sottolinea come “la coppia non può più contare tanto su copioni prestabiliti, ma si trova a dover costruire la propria routine.” Una rinnovata libertà che “porta con sé anche grandi responsabilità e la fatica di doversi reinventare, in un processo che non è sempre lineare, ma che spesso si accompagna a momenti di crisi costruttiva”.
In che modo la dimensione lavorativa e quella genitoriale sono collegate? Sono indipendenti fra loro o hanno dei punti di contatto? Come conciliare i ruoli in modo efficace?
Dalle esperienze raccolte nei nostri percorsi coi padri è emerso che, se un ufficio è abitato esclusivamente da uomini, l’argomento dei figli non è trendy. Viceversa, quando al lavoro c’è anche la presenza di mamme, la paternità viene espressa con maggiore libertà, diventando un elemento a supporto della convivenza aziendale. Ad esempio, un lavoratore afferma che “quando ci sono colleghe mamme che fanno presente alcune loro esigenze, sento maggiore empatia nei loro confronti, come una forma di solidarietà genitoriale”.
Sono le madri, infatti, a fornire quell’input che permette di affrontare il tema della genitorialità sul lavoro. Un altro padre afferma: “mi capita spesso che le colleghe mamme vogliano condividere con me dei consigli, io lo vivo con piacere come un elemento di inclusione in un “club” informale”. “Nei contesti lavorativi dove sono presenti i due generi – commenta Serrelli – è bello riuscire a mettere in comune anche questo aspetto importantissimo dell’identità.” A proposito di organizzazioni, Rabaiotti è dell’avviso che queste siano “state disegnate dagli uomini per gli uomini. Ma i nuovi strumenti di lavoro intelligente hanno riportato l’attenzione sul tema del coinvolgimento dei padri con la famiglia. “Credo che queste istanze siano già diventate, e debbano diventare sempre di più, una questione di grande importanza per le aziende.”
Come cambia l’identità maschile diventando padri?
Il passaggio dal modello normativo a quello educativo è sottolineato dalle parole di Michele Rabaiotti, che vi si riferisce definendola una vera e propria passione: “quello che ho scoperto diventando padre è che hai una responsabilità affettuosa e mi dà gioia prendermi cura dei miei figli. Diventa una componente fondamentale dell’identità”. Sulla stessa linea anche Emanuele Serrelli, che ha indagato questo tema anche con i padri lavoratori. Diventare padri apre a nuovi scenari identitari che si ripercuotono anche nella vita lavorativa quotidiana. Un padre, ad esempio, afferma: “ho cambiato il mio comportamento nei confronti dei colleghi che sbagliavano, sono diventato più accogliente e paziente e ho smussato molti miei atteggiamenti pregressi”.
Un altro grande tema è quello dell’incertezza, si impara a tollerare molto di più dopo essere diventati padri. Per usare le parole del filosofo dell’educazione Gert Biesta, “l’educazione è un’impresa debole e rischiosa”. Se le prime fasi dello sviluppo sono accompagnate da tappe più o meno fisse, è quando i figli crescono che aumenta anche l’incertezza. Allora, la libertà educativa si traduce nella capacità di “lasciar andare i propri figli”, mettendosi al servizio della loro crescita professionale e umana. Un vero e proprio lavoro che, sottolinea Rabaiotti è “bellissimo e faticoso”.
Quali sviluppi futuri per aziende più “parent-friendly”?
Per cambiare la cultura aziendale occorre un cambiamento sistemico, sociale e normativo. Oggi gli spazi per parlare di paternità in azienda non sono ancora molto diffusi né esplorati: un primo livello di azione è allora quello culturale, per superare i tabù e legittimare i discorsi della genitorialità. Sono poi necessarie policy e iniziative di welfare che favoriscano davvero – non solo in maniera simbolica – i genitori e i padri in particolare. Il congedo di paternità è ancora troppo breve, ma molti padri in azienda considerano il problema in parte superato dallo smart working.
Rimangono tuttavia alcune misure apparentemente pensate per i genitori, come il permesso per l’inserimento a scuola, che per i padri non sono realmente utili perché ad esempio troppo brevi. “Infine occorre – conclude Serrelli – un’azione di sensibilizzazione e di comunicazione che dia un senso alle politiche di welfare e che metta l’accento sul fatto che, grazie ad esse, i papà e le mamme possono davvero lavorare meglio ed assolvere appieno alla propria funzione genitoriale”.