Donne Lavoro e Management

L’occupazione femminile post pandemia

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Scritto da Ilaria Li Vigni
Una recessione pesantemente al femminile, tanto che è già stato coniato il termine ad hoc: ‘she-cession‘.

E lo è sotto molti punti di vista, a partire dai posti di lavoro persi e dal divario salariale crescente, fino ad arrivare all’aumento dei lavori di cura non retribuiti e ad un welfare sempre più assente.
A conti fatti questa pandemia sta rimettendo l’orologio delle donne indietro di qualche anno, se non di decenni.
Certo, è ancora troppo presto per valutare a pieno gli effetti della crisi da Covid-19 sul mondo del lavoro, ma qualche indicazione chiara l’abbiamo già avuta, come nel caso dei dati Istat pubblicati lo scorso febbraio: su 101mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne.

Un disastro annunciato in realtà, visto che già lo scorso giugno l’Ispettorato del lavoro segnalava che 37.611 lavoratrici neo-genitrici si erano dimesse nel corso del 2019. E tale dato non stupisce, dal momento che solo il 21% delle richieste di part time o flessibilità lavorativa, presentate da lavoratori con figli piccoli, è stato accolto.

La pandemia, quindi, non ha fatto che accentuare il trend. A maggio 2020 un’indagine di WeWorld, importante associazione attiva nel campo dei diritti umani, effettuata sul finire del primo lockdown, segnalava che 1 donna su 2 aveva rinunciato ad almeno un progetto a causa del Covid e il 31% annullava o posticipava la ricerca di lavoro.
La disparità tra le donne occupate e gli uomini occupati va, in ogni caso, oltre la pandemia.
È endemica ed è legata soprattutto alla genitorialità: le donne occupate con figli che vivono in coppia sono solo il 53,5%, contro l’83,5% degli uomini a pari condizioni.
Per i single, i tassi di occupazione sono 76,7% per gli uomini e 69,8% per le donne.
È ancora WeWorld che conferma il fatto che per le italiane la maternità è un nodo cruciale. I dati presentati il 4 marzo scorso durante l’Edizione Speciale di WeWorld Festival, segnalano che le principali vittime economiche della pandemia sono le donne, soprattutto se con figli e senza lavoro, che si sono trovate a far fronte a un enorme carico economico, psicologico e di cura.

I dati raccontano che 1 donna su 2 ha visto peggiorare la propria situazione economica, sia al Nord che al Centro e Sud. La percentuale sale al 63% tra le 25-34enni e al 60% tra le 45-54enni.
Non solo.
Una donna su 2 si dice più instabile economicamente e teme di perdere il lavoro. E poi 3 donne su 10 non occupate con figli a causa del Covid rinunciano a cercare lavoro.

Per concludere WeWorld ci dice che il 38% delle donne dichiara di non poter sostenere una spesa imprevista, quota che sale al 46% tra le madri con figli.
Il problema non è solo italiano: a livello europeo, l’Eige (Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) ha pubblicato il 5 marzo i numeri dell’impatto Covid sull’uguaglianza di genere in Europa.

L’occupazione femminile si è ridotta di 2,2 milioni in tutta l’Unione Europea.

Le donne che lavorano in settori come le vendite al dettaglio, assistenza residenziale, lavoro domestico e la produzione di abbigliamento hanno subito le perdite più pesanti di posti di lavoro, dato che costituiscono la maggior parte della forza lavoro in questi settori.
L’aumento dell’occupazione durante la scorsa estate non ha invertito il trend: le donne, infatti, hanno ottenuto solo la metà dei posti di lavoro degli uomini.

Ciò dimostra che l’impatto economico della pandemia sta avendo effetti più duraturi per le donne.

È chiaro, però, che della questione dell’occupazione femminile occorre farsi carico in modo trasversale e strategico, attivando più agenti di cambiamento possibili.
Non solo politici.
Ci sono barriere strutturali che fanno parte del sistema-Paese e afferiscono a una decisionalità politica, come la mancanza di infrastrutture, cui alcune aziende hanno cercato di compensare con nidi aziendali e benefit.
E barriere culturali che, riferendosi al modello patriarcale, sempre latente, ritengono il lavoro più importante per l’uomo che per la donna e prevedono che il carico di cura sia per il 75% sulle spalle delle donne.
E, inoltre, esistono barriere più specifiche relative allo sviluppo di carriera e alla progressione delle lavoratrici verso posizioni di potere.

Ancora in minoranza le studenti che scelgono facoltà tecnico-scientifiche. Occorre lavorare sull’orientamento alla scienza, anche e soprattutto attraverso un cambio di narrativa per il futuro delle giovani generazioni.
Importante la cura di aggiornamento e d’integrazione delle competenze in azienda attraverso iniziative mirate.

Se la chiave di volta sono le policy di genere, utili a favorire una maggiore inclusione a tutti i livelli, è altresì necessario analizzare e studiare gli agenti di cambiamento più efficaci all’interno delle aziende.
Si ritiene che, per poter superare la difficoltà dell’occupazione femminile in tutti i settori produttivi, siano necessarie un’attività mirata di indirizzo politico e concreti mutamenti pratici.

Solo così verrebbe tutelato il sistema lavorativo in generale ed il benessere economico della nazione.

Autore

Ilaria Li Vigni

Avvocata penalista, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano e specializzata in diritto penale dell’economia, reati contro la Pubblica Amministrazione, contro la persona e la famiglia. Consigliere dell’Ordine regionale dei Giornalisti. Consulente legale Consolato USA a Milano. Si occupa di tematiche di genere nell’avvocatura, coordinando corsi di formazione in materia di diritto antidiscriminatorio e pari opportunità e leadership presso le Istituzioni Forensi e le Università. Giornalista pubblicista e autrice di saggi.

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