Age diversity Lavoro e Management

Non solo conflitto generazionale: quello che non ti aspetti da “Lo stagista inaspettato” – (parte 1)

Non solo conflitto generazionale

“Alle 7.15 sono da Starbucks, mi fa sentire parte di qualcosa”

Ben, il settantenne protagonista dell’ultima pellicola di Nancy Meyers “Lo stagista inaspettato” (uscita nelle sale lo scorso ottobre) e interpretato da un tonicissimo Robert De Niro, le ha provate tutte per dare un senso alla sua nuova condizione di pensionato. Tuttavia, si ritrova a fare i conti con il classico problema che incontra chi, dopo aver passato 40 anni di lavoro per di più sempre nello stesso posto, deve gestire un cambiamento identitario tanto individuale quanto sociale che trova la maggior parte delle persone totalmente impreparate ad affrontarlo. Ma il nostro Ben non si da per vinto e, nel momento in cui è professionalmente arrivato al capolinea, si rimette in gioco e ricomincia da zero, dal primo step che i giovani devono affrontare oggi per entrare nel mondo del lavoro: lo stage.

Nonostante la miopia del sistema di selezione, con il selezionatore che gli chiede “Dove ti vedi tra 10 anni?”, Ben viene selezionato per un programma di stagisti senior promosso dalla start-up About The Fit, un e-commerce nel settore dell’abbigliamento. Per di più, a Ben tocca il non facile ruolo di assistente della fondatrice dell’azienda, Jules (Anne Hathaway), 40 anni più giovane di lui, dall’indole perfezionista, workaholic e alle prese con un precario equilibrio vita-lavoro. Dopo un inizio difficile e una sostanziale diffidenza verso Ben – Jules, sempre di corsa (si muove in bici in ufficio) e perennemente in ritardo (fissa riunioni della durata di 5 minuti per volta), vede Ben come un elemento che può rallentare e ostacolare il suo lavoro a causa degli stereotipi che nutre verso le persone anziane – la relazione tra i due diventerà quella fra un mentor e un mentee. Non soltanto Ben la supporterà ad affrontare il momento critico della ricerca di un AD per l’azienda ma anche, sul versante personale, l’aiuterà a recuperare la relazione con un marito che, avendo lasciato un promettente lavoro nel marketing ed essendosi trasformato in uno di quei “nuovi padri” alle prese con la casa e la cura dei figli per permettere alla moglie di fare carriera, si rende poi conto che questa nuova identità gli sta un po’ stretta.

“Detesto fare io il femminista tra noi due ma tu meriti di fare una bella carriera e essere quello che sei senza dover accettare che tuo marito abbia un’amante come contropartita.”

Seppur promettente soprattutto visto il cast e la regista, il film è stato abbastanza bacchettato dalla critica d’oltreoceano. Tuttavia, qualche spassosa risata riesce a regalarla, ma anche alcuni stimoli e riflessioni che chi si occupa di management, e ancor più di diversity management, non può non portarsi a casa dopo averlo visto. Sebbene non sia candidato agli Oscar, dunque, questo film pone l’attenzione su almeno tre interessanti aspetti:

  1. Le nuove forme di CSR rivolte ai lavoratori maturi sotto forma di stage o sostegno al pensionamento, e cioè come trasformare “vecchi” strumenti in “nuovi” utilizzi
  2. Le differenze nei valori tra le generazioni e come questi si manifestano e possano generare conflitto all’interno dei contesti lavorativi (ad es. approccio al lavoro e alla comunicazione, rapporto con la tecnologia e stile di abbigliamento, rapporto con la gerarchia e con la diversità)
  3. Le intersezioni tra genere e generazioni, ovvero le comunalità e differenze tra uomini e donne appartenenti alla stessa generazione (“com’è che in una generazione gli uomini sono passati da Jack Nicholson e Harrison Ford a…”)

Nel primo del ciclo di post dedicati a questo film ci soffermeremo innanzitutto sul format originale che viene portato per la prima volta sul grande schermo che è quello dello stage per i lavoratori senior. Negli Stati Uniti questa forma di internship, o meglio di “returnship”, riguarda specifici programmi di rientro per quei professionisti maturi che hanno avuto un prolungato periodo di assenza dal mercato del lavoro.
Questa nuova formula è stata lanciata per la prima volta da Goldman Sachs nel 2008 ed ha visto come principali destinatari donne che, dopo alcuni anni dedicati esclusivamente alla maternità, volevano rientrare nel mercato del lavoro, ma anche lavoratori senior in generale che, espulsi prematuramente dal mercato del lavoro, hanno trovato in questo strumento un modo per rinforzare le proprie competenze, costruirne di nuove e “risintonizzarsi” su un mutato scenario professionale.
Quando qualche anno fa una giornalista del Corriere della Sera mi ha contattata per un commento sulle iniziative di stage rivolte agli over 40 del Gruppo Toscano, ma anche di alcuni comuni e province italiane, la mia principale perplessità riguardava il fatto che gli stereotipi legati all’età, e in particolare all’essere considerati anziani, potessero rendere questo strumento una lama a doppio taglio per chi ne usufruisse. “Meno male che anche tu lo trovi ridicolo” è, non a caso, la frase con cui Jules esordisce quando incontra per la prima volta il suo nuovo stagista.

L’età è un potente criterio su cui si basa la pianificazione delle risorse umane all’interno delle organizzazioni al quale vengono attribuiti dei significati che vanno oltre quello cronologico.

All’interno delle organizzazioni e delle società si è sempre troppo vecchi o troppo giovani per fare qualcosa, per iniziare un nuovo percorso o per cambiare quello intrapreso, e i sistemi operativi si basano su dei limiti impliciti o espliciti che determinano chi può ad esempio avere o non avere accesso a percorsi di formazione, talent pool, percorsi di selezione, etc. Ma, se vedessimo la questione da un’altra prospettiva e questo film suggerisse una nuova frontiera per la responsabilità sociale d’impresa? Un’azienda, infatti, che voglia sanare la frattura tra generazioni differenti, ma anche costruire una nuova cultura di gestione che superi l’idea di “troppo giovane” o “troppo vecchio” e affianchi il lavoratore in un ulteriore delicato passaggio del ciclo di vita professionale – quello forse più critico e su cui si è meno attrezzati per definizione – che è quello del pensionamento, potrebbe promuovere l’ingresso in azienda di persone in pensione che però “sentano ancora un po’ di musica dentro” e abbiano ancora voglia di dare e di trasmettere la propria conoscenza ed esperienza alle nuove generazioni.

“Ho letto che i musicisti non vanno in pensione, smettono quando non hanno più musica dentro. Beh, io ho ancora musica in me e su questo non ho alcun dubbio.”

Oltre che rispondere a bisogni in parte nuovi legati alla rivoluzione demografica e all’allungamento della vita offrendo nuove forme di CSR, le aziende ci guadagnerebbe più di quanto non siano chiamate ad investire, e allo stesso tempo raggiungerebbero degli altissimi livelli di coerenza tra il dichiarato (superare i limiti e le barriere legate all’età) e l’agito.

Non solo “bimbi in ufficio” dunque, ma anche “nonni in ufficio”, per rendere manager e lavoratori consapevoli delle differenze ma anche delle sinergie fra le diverse generazioni. Che non sia questa la nuova strada per la convivenza generazionale e per la responsabilità sociale d’impresa?

Nei prossimi post affronteremo gli altri due temi sui quali “Lo stagista inaspettato” porta lo spettatore a riflettere, e cioè le differenze generazionali nei contesti organizzativi e l’overlap tra genere e generazione.

Autore

Alessandra Lazazzara

Professoressa Associata di Organizzazione Aziendale e HRM presso l’Università di Milano.
Ha conseguito un dottorato di ricerca in Sviluppo Organizzativo presso l’Università di Milano-Bicocca dopo un visiting period presso The Netherlands Interdisciplinary Demographic Institute (NIDI) in Olanda. Si occupa di D&I Diagnostic (analisi di clima, mappatura della workforce, internal labour force analysis, benchmarking, etc.) e dei percorsi di formazione e sviluppo professionale.
Le sue aree di intervento riguardano l’age management, l’empowerment e la leadership al femminile. É autrice di pubblicazioni scientifiche nel campo della formazione e gestione delle risorse umane ed è membro dei comitati editoriali di The International Journal of Human Resource Management, Industrial and Commercial Training, SN Business & Economics, Baltic Journal of Management, Prospettive in Organizzazione. È inoltre membro del consiglio direttivo di ASSIOA-Associazione Italiana di Organizzazione Aziendale e Vice President di ItAIS – Italian Chapter of the Association for Information Systems.

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