“More than a decade of data has revealed that progress is still too slow for realizing the full potential of one half of humanity within our lifetimes”.
Questa è la frase con cui viene introdotta l’edizione del 2016 del Global Gender Gap Report, un indice che da ben dieci anni il World Economic Forum, una fondazione senza fini di lucro con sede a Cologny vicino a Ginevra, elabora per fornire un quadro statistico dell’ampiezza e della portata della disparità di genere in tutto il mondo.
L’indice non solo misura i divari nazionali tra donne e uomini fornendo ogni anno una classifica dei Paesi, ma consente anche, attraverso le serie storiche, di avere un confronto nel tempo.
L’indice globale della diseguaglianza si ricava come media aritmetica di quattro sotto-indicatori relativi a quelli che il report chiama i “quattro pilastri“:
- Salute e sopravvivenza: fornisce una panoramica delle differenze di genere attraverso l’uso di due indicatori. Il primo è il rapporto tra i sessi alla nascita; il secondo è l’aspettativa di vita in buona salute;
- Educazione: indaga il divario tra donne e uomini nell’accesso all’istruzione (in tutti i gradi della scuola) e i relativi tassi di alfabetizzazione;
- Partecipazione economica ed opportunità: riguarda la partecipazione di donne e uomini al mercato del lavoro, l’eventuale divario relativamente alla remunerazione, all’avanzamento della carriera e alla presenza in ruoli tecnici e professionali;
- Responsabilizzazione in politica (political empowerment): misura il rapporto donne/uomini in parlamento e in posizioni ministeriali ed il numero di anni in cui una donna è stata capo dello Stato.
Obiettivo dell’indice è quello di fotografare un set completo di dati ed un metodo chiaro di monitoraggio su alcuni indicatori critici, in modo da fornire ai singoli Paesi indicazioni circa le possibili priorità di azione. Per essere inclusi nella relazione, un paese deve poter fornire dati per un minimo di 12 indicatori dei 14 che compongono l’Indice. L’edizione del 2016 è riuscita a coprire 144 paesi.
Vediamo ora i dati.
Così come negli anni precedenti, nei primi posti della classifica troviamo Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia.
L’Italia scende al 50° posto contro il 41° dello scorso anno.
Quello che emerge con forza è l’aumento del divario di genere in relazione alla partecipazione ed alle opportunità nell’ambito economico: dobbiamo infatti scorrere la classifica fino alla 117° posizione per trovare il nostro Paese.
Nulla di nuovo, insomma.
Come ben sappiamo, i tassi di occupazione femminile in Italia sono molto bassi, i differenziali retributivi esistono (127esima posizione, ben al di sotto della media mondiale) e sono oggettivi, così come sono quantificabili i fenomeni della segregazione orizzontale (poche donne in professioni tecniche) e di quella verticale (poche donne in posizioni aziendali di comando).
Sappiamo tutti cosa occorre per rendere meno discriminante il lavoro delle donne: politiche ad hoc (obbligatorietà del congedo di paternità, potenziamento dei servizi per la cura dei bambini e degli anziani etc.); processi di gestione delle persone innovativi, trasparenti, meritocratici; strumenti aziendali di work-life balance (es: smart working); culture aziendali inclusive ed in ascolto dei diversi bisogni ed esigenze delle persone.