Donne Empowerment

Joy: da casalinga disperata a imprenditrice di successo

Joy

iBicocca è il progetto dell’Università degli Studi di Milano Bicocca dedicato allo sviluppo delle competenze trasversali necessarie a divenire “imprenditori di sè stessi” che sono poi propedeutiche all’imprenditorialità vera e propria. Quando ho accolto l’invito a discutere con gli studenti iBicocca il film “Joy”, mi sono venuti alla mente moltissimi film di Hollywood su magnati d’industria e imprenditori di successo: dal blasonato Quarto potere ai più recenti The Social Network e Steve Jobs. Film per il grande schermo su figure imprenditoriali femminili, fatta eccezione per l’icona Coco Chanel o il più recente Lo stagista inaspettato, faccio davvero fatica a ricordarne.

Il talento, così come l’imprenditorialità, non sono doti né maschili né femminili, ma di certo l’assenza di role model femminili nell’imprenditorialità non aiuta le nuove generazioni di donne a pensarsi come imprenditrici.

Eppure, solo in Italia ci sono circa 1.3 milioni di imprese femminili che rappresentano il 22% del totale (sono il 29% in Europa) e, se ci focalizziamo sulle imprese under 35, quasi 1 impresa su 3 è guidata da una donna (Fonte: Osservatorio Imprenditoria Femminile di Unioncamere – Infocamere).

Ritornando al film “Joy”, l’ultimo lavoro di David O. Russell è ispirato alla storia della self-made woman Joy Mangano, la madre casalinga e divorziata che ha inventato negli anni Novanta il Miraple Mop – un mocio rivoluzionario autostrizzante – che l’ha resa un’imprenditrice di successo. Il film cavalca il mito meritocratico e rassicurante secondo cui non importa chi tu sia o cosa faccia, se ci credi e ti impegni fino in fondo in quello che fai alla fine ce la farai. La pellicola, infatti, presenta le gioie (poche) e i dolori (tanti) dell’attività imprenditoriale, descrivendo le difficoltà che si incontrano nel trovare finanziatori e canali distributivi, nel convincere le persone ad acquistare il proprio prodotto, nel difendere l’originalità della propria invenzione.

Ma Joy è anche un film “Ispirato a storie vere di donne audaci”, come recita la scritta in apertura, e di donne e relazioni fra donne è intriso tutto il film. In particolare, il vero triangolo rosa è quello fra la nonna Mimi, l’unica che sin da quando Joy era piccola ha riconosciuto e sostenuto il suo talento inventivo e l’ha spronata a realizzare le sue idee; la protagonista e le mille “fatiche al femminile” che deve quotidianamente affrontare; sua figlia, una bambina che assiste ai successi e agli insuccessi della madre alla quale sono indirizzate le pillole di vita di Joy.

“Non pensare mai che il mondo ti debba qualcosa, perché non è così!” [Joy]

Ma quali sono le caratteristiche di questa Cenerentola del mondo degli affari che l’hanno resa un’imprenditrice di successo?

La protagonista è certamente una donna determinata, con una personalità forte che le permette di fare scelte coraggiose spesso mettendo a rischio il benessere dei suoi figli (quando fa la seconda ipoteca sulla casa ad esempio). Inoltre, Joy è carismatica, ha grinta ed è fortemente orientata al problem-solving, un tratto quest’ultimo che la porta non solo a sviluppare più di cento invenzioni a partire da problemi quotidiani reali, ma anche a trovare soluzioni ai mille problemi che nello sviluppo del suo business ha incontrato. È poi una persona credibile per il suo essere sempre sé stessa e per la sua capacità di comunicare con semplicità e concretezza il valore delle sue idee. E, cosa non da poco, Joy dice spesso “no”, negozia, contratta. Capacità queste che non sempre caratterizzano le donne (come ben descritto nel libro Le donne non chiedono di Linda Babcock e Sara Laschever), ma che fanno la differenza nella carriera e negli affari nonché nella vita quotidiana. Ma in Joy c’è anche qualcos’altro che a volte le donne hanno paura di affrontare ed è la capacità di visioning, scegliere cioè deliberatamente di rischiare e di pensare in grande, di essere visionarie nella progettazione del proprio futuro.

Il tema più generale dell’empowerment femminile è dunque certamente un tratto distintivo del film. E se in Joy queste sembrano essere delle caratteristiche più o meno innate, molto è stato fatto nello sviluppo di programmi di formazione al femminile ad hoc per sostenere percorsi di crescita personali e professionali sia all’interno che al di fuori dalle aziende (si veda al riguardo il recente post Empowerment femminile: ne abbiamo ancora bisogno?). A partire dallo sviluppo di consapevolezza circa i propri punti di forza e di debolezza nell’agire nei vari contesti organizzativi in cui le donne operano, è infatti possibile sviluppare quel bagaglio di competenze necessarie ad affrontare le sfide che i ruoli manageriali come quelli di Joy richiedono.

Ma c’è un altro messaggio importante che emerge dalla trama del film, ed è legato alla presenza costante di un gruppo di persone – tra cui il padre (Robert De Niro) – che le ripetono in continuazione come le donne non possano fare quello che lei sta cercando di fare. Molti dei suoi familiari esprimono scetticismo rispetto alla possibilità che lei raggiunga il successo negli affari e che rischiare così tanto non è una buona idea soprattutto per una donna che ha dei figli e una casa da mandare avanti.

“Ho sbagliato io a farle credere di essere più di quel che è, è una casalinga come tante altre” [padre di Joy]

Questo atteggiamento ha lo stesso effetto scoraggiante sulla vita e le scelte di una donna di quando da bambine si viene orientate a giocare con le bambole e gli utensili per la cucina, invece che con ruspe ed escavatori giocattoli. La conseguenza è che poi le ragazze non scelgono discipline tecnico-scientifiche all’università e non fanno gli ingegneri… o le imprenditrici. Per questo, il ruolo delle role model per spronare le donne ad intraprendere iniziative imprenditoriali è di cruciale importanza: sapere che qualcosa si può fare e qualcuna l’ha fatto prima di noi può invogliare ad assumere il rischio imprenditoriale. Non a caso, l’ultima ricerca di Wise Growth su motivazione e leadership identificava proprio in quelle modalità formative più relazionali come il mentoring uno dei principali strumenti che rendono le donne più propense ad assumere ruoli e responsabilità di leader.

Per concludere, imprenditrici “all’ascolto”, questo messaggio è per voi:
Quali sono stati gli ostacoli che avete dovuto affrontare e le rinunce che avete dovuto fare? In cosa l’essere donne vi ha avvantaggiato o ostacolato nel vostro percorso imprenditoriale?
Abbiamo bisogno del vostro esempio e della vostra esperienza per essere pronte anche noi a salire sulla carrozza che ci porterà non dal principe ma verso nuovi traguardi professionali.

Autore

Alessandra Lazazzara

Professoressa Associata di Organizzazione Aziendale e HRM presso l’Università di Milano.
Ha conseguito un dottorato di ricerca in Sviluppo Organizzativo presso l’Università di Milano-Bicocca dopo un visiting period presso The Netherlands Interdisciplinary Demographic Institute (NIDI) in Olanda. Si occupa di D&I Diagnostic (analisi di clima, mappatura della workforce, internal labour force analysis, benchmarking, etc.) e dei percorsi di formazione e sviluppo professionale.
Le sue aree di intervento riguardano l’age management, l’empowerment e la leadership al femminile. É autrice di pubblicazioni scientifiche nel campo della formazione e gestione delle risorse umane ed è membro dei comitati editoriali di The International Journal of Human Resource Management, Industrial and Commercial Training, SN Business & Economics, Baltic Journal of Management, Prospettive in Organizzazione. È inoltre membro del consiglio direttivo di ASSIOA-Associazione Italiana di Organizzazione Aziendale e Vice President di ItAIS – Italian Chapter of the Association for Information Systems.

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