Si parla molto di diversity & inclusion, ma qualsiasi azienda voglia fare un serio percorso su questi temi deve prima mettersi sotto il microscopio per capire la sua personale e specifica situazione.
L’individuazione delle “linee di faglia” ovvero quei sentieri di separazione tra gruppi di persone che possono condurre a situazioni conflittuali più o meno aperte è parte del lavoro di noi consulenti, in questo caso “antropologi organizzativi” che cercano di leggere e restituire la cultura della “tribù” in esame. Questo è uno dei lavori più affascianti e interessanti soprattutto quando svolto con persone desiderose di capire, al di là degli schemi o delle idee, le loro reali caratteristiche.
Va da sé che questo lavoro scopre soprattutto le linee di faglia tradizionali, ad esempio quelle di esclusione delle donne dai luoghi di potere, ma anche quelle più sottili, generazionali o culturali.
Una linea di faglia sottovalutata, ma quasi sempre presente, riguarda un noi/loro che ha caratteristiche organizzative. Il più evidente riguarda le fusioni/acquisizioni. Anche nei matrimoni alla pari c’è sempre una parte che viene giudicata “l’oppressore”, colui che ha in mano le leve del comando e che decide sulle allocazioni. E’ evidente che le forze presenti in campo dovranno fare i conti con posizioni che hanno almeno una persona in eccedenza, gruppi che diventano troppo grandi e così via. La battaglia soggiacente riguarda temi quasi da sopravvivenza e quindi il noi/loro si carica di valori.
Per “noi” consulenti è interessante perché anche dopo molti anni, nelle conversazioni quotidiane, emergono i vissuti negativi: il proprio vicino di scrivania viene tacciato di essere scorretto perché fa parte del gruppo “vincitore” mentre i “vinti”, o coloro che si considerano tali, si aggregano in gruppi spontanei colpiti dalla sindrome dei reduci, rievocanti il passato glorioso che, via via che il tempo passa diventa sempre più roseo. Una dinamica assolutamente comprensibile, ma che ci aiuta a capire come i potenziali conflitti tra “diversi” possano assumere colorazioni originali.
Un’altra linea di faglia, sempre presente, riguarda l’appartenenza a sottosistemi organizzativi, quali le funzioni ad esempio. “Noi del marketing” siamo l’anima dello sviluppo futuro, oppure “noi della produzione” siamo la vera spina dorsale che tiene insieme questa banda di sciagurati… Anche in questo caso il noi/voi è assolutamente endemico.
Vi sono due fenomeni, a mio parere, che lo acuiscono.
Il primo riguarda il fatto che, fisiologicamente, ciascuno vede il proprio di lavoro e le fatiche connesse, mentre tende a sottovalutare le problematiche altrui.
Il secondo, ben più importante, è che nel disegno organizzativo ogni casella tende a fare i propri interessi, a scapito della dimensione più ampia e collettiva.
Alcuni esempi: se la funzione produzione deve utilizzare il canale acquisti per approvvigionarsi, tenderà a criticare il modo di lavorare dei colleghi, ritenuti poco competenti, poco attenti alle loro richieste e incapaci di comprendere a fondo le problematiche degli utilizzatori. Tema in parte vero, ma che può essere acuito dal risentimento di non poter agire su un pezzo del processo lavorativo, delegandolo ad altri.
Succede allora che, dove possibile, si tenterà di “internalizzare” quanto sulla carta passato ad altri. Si inizia con il rivendicare un piccolo bugdet per le spese minute e via via si cercherà di allargare la propria sfera di influenza sottraendosi alla “dipendenza” organizzativa.
Di esempi di questo tipo ve ne sono moltissimi e riguardano gli “interessi” specifici del sottosistema e la radicata incapacità di vedere le opportunità oltre i propri confini.
Il sogno soggiacente è quello del controllo, di poter diventare autonomi, “padroni in casa propria” per usare un modo di dire molto utilizzato in politica, che richiama esattamente lo stesso processo.
Ho più volte sottolineato che questi fenomeni sono fisiologici ed endemici, ovvero persistenti se lasciati a se stessi e per questo vanno affrontati con decisione, per impedire che linee di faglia producano scossoni, aprano voragini e impediscano all’organizzazione di procedere.
Le terapie possono essere molte, e tutte hanno – come sempre nei processi di inclusione – l’obiettivo di costruire dei ponti, di creare dei canali di comunicazione, di fare capire la complessità dei processi.
Utili, quindi, tutti quei progetti che aiutano a raccontarsi e a capirsi: un incontro tra funzioni diverse per descrivere i reciproci processi, progetti per studiare insieme le soluzioni più efficaci sia in termini di contenuti che di relazioni, momenti di visita organizzata, ad esempio una giornata insieme in affiancamento, oppure lo “shadowing”: fare l’ombra di un collega per qualche ora o per una giornata.
Nel caso descritto delle fusioni e acquisizioni è necessario lavorare sulla dimensione simbolica di appartenenza, sviluppando un sentimento di adesione che si avvalga di momenti di team building costruiti per integrare le culture in modo simmetrico, o di benefit che possano rinforzare l’orgoglio del brand, ad esempio.
Soprattutto, quello che conta e che fa la differenza nel sanare questi conflitti reali o potenziali, è lo stile di management. E qui si distinguono i rancorosi dai leader. I primi sono coloro che incitano le fazioni alla guerra, i maestri del noi/loro, che supportano un punto di vista riduttivo e pericoloso. I leader, invece, sono quelli che hanno la visione di insieme, che aiutano a relativizzare invece che ad armare, che affrontano i contenuti e non il come, che sanno che i confini da scavalcare sono quelli esterni, riunendo le funzioni, le posizioni organizzative e le persone in un gruppo più ampio che sappia uscire dal proprio “particolare” affrontando anche momenti di fatica, ma in nome di un progetto più ampio e di visione.
Grazie! Sto scrivendo una tesi sul Disability Management e un primo capitolo è rivolto al diversity management. Questo articolo mi è stato immensamente utile per capirne la portata, per guardare le cose da un punto di vista più pratico. Credo che gli articoli accademici a volte pecchino di eccessiva distanza dal mondo delle cose. Grazie ancora per questa risorsa!