Diversity Lavoro e Management

Pregiudizio, valutazione del rischio e consapevolezza. In una parola: essere compliant

essere compliant

Il pregiudizio, letteralmente, è un giudizio senza evidenze, senza prove (dal latino “pre” che significa “prima” e “giudice” che significa “la persona che decide il destino di qualcuno o qualcosa relativamente a una determinata questione”).

E’ una valutazione espressa senza un sotteso ragionamento, a-criticamente. E’ l’espressione del nostro puro istinto, senza sovrastrutture.

Il pregiudizio è il prodotto del nostro vissuto personale, è radicato nella nostra storia sociale, è qualcosa di profondo e sottile, difficilmente percepibile, non apprezzabile se non fermandosi a chiedersi “perchè”.
Recenti studi sociologici spiegano che il pregiudizio è la valvola di sopravvivenza del nostro cervello, è la soluzione che ci consente di prendere decisioni rapide, per sopravvivere allo stress delle piccole, ma continue, decisioni quotidiane. E’ una scorciatoia, che ci consente di non pensare, di non affaticare il nostro cervello e trovare una via d’uscita facile e rapida. E’ la strada già nota, il binario tracciato dai nostri avi, il ricordo nascosto nei cassetti della nostra amigdala, il ricordo ancestrale di un già vissuto, di un deja vu. Un impronta di qualcosa di letto, di scritto, di udito, di annusato, di ingerito fin dal tempo un cui eravamo una sola molecola.

Il pregiudizio è la voce della nostra pancia, è la voce che sale, che lo si voglia o no.
Ascoltando questa voce ci alziamo la mattina al suono della sveglia, facciamo la doccia, guidiamo l’auto, portiamo i bimbi a scuola, andiamo a lavorare, prendiamo il caffè con i colleghi, facciamo la spesa, andiamo al cinema.

In ogni istante della nostra giornata, volenti o nolenti, prendiamo decisioni, piccole e meno piccole (anche le grandi decisioni, in fondo, non sono altro che tante piccole decisioni): ed ecco che il pregiudizio ci soccorre, mettendoci sul solco della scelta già esplorata, il più possibile indolore, non sofferta, celere.
E fin qui tutto bene.
Ma.

Il rischio

Quante volte il binario che stiamo percorrendo ci impedisce di vedere percorsi alternativi e, soprattutto, quante volte le scelte effettuate sulla base dei nostri pregiudizi si rivelano errate?

Più spesso di quanto non pensiamo, anche perchè forse non ci pensiamo.
Il pregiudizio ci priva della razionalità, della capacità di discernere e del senso critico. L’operare secondo mappe mentali predefinite espone al rischio di non effettuare la valutazione secondo criteri razionali e non prendere in considerazione tutte le possibili alternative.

Un tipico pregiudizio è il pregiudizio di genere, che porta, ad esempio, il genere maschile a individuare profili maschili per le carriere professionali e a ricondurre le donne ad un ruolo tipicamente “domestico”, o, peggio, esclusivamente “materno”.

Dal canto loro, le donne si attribuiscono spesso, più o meno inconsciamente, un ruolo “casalingo” riconoscendosi nel modello “regina della casa” o riservandosi un ruolo dominante, nell’ambito della coppia e della famiglia, nel percorso educativo dei figli.
Il rischio connesso a tale pregiudizio è quello della perdita di valore che, in ambito aziendale, significa perdita di business, di utile, di reputazione, non compliance con specifiche indicazioni regolamentari.
Tema complesso, che non può essere affrontato con approssimazione, ma che, in ragione del potenziale impatto in termini sociali, relazionali e di business, non può essere ignorato.

Il pregiudizio è inconscio e non può essere semplicemente sradicato. Tuttavia, esso può essere riconosciuto e circoscritto, in modo da neutralizzarne i soli effetti negativi.

La consapevolezza

La consapevolezza del pregiudizio è, pertanto, lo strumento fondamentale, forse unico, per l’individuazione del rischio e per vedere la realtà oggettivamente, per quella che è. Tale percezione non è immediata, ma va allenata con rigore e permette la successiva definizione dei possibili interventi di attenuazione o rimedio del rischio.
In un’organizzazione aziendale complessa ogni rischio deve esser calcolato, quantificato, soppesato e valutato.

Il rischio di pregiudizio può impattare fortemente sul business, coinvolgendo la governance, il personale, i clienti e i fornitori.
Lo studio e la definizione dei modelli di governance hanno negli ultimi anni assunto un valore di riferimento in ambito aziendale. E’ proprio nella costruzione di tali modelli che i pregiudizi cognitivi dovrebbero essere valutati preliminarmente, poiché essi costituiscono l’ossatura dell’intero ambito operations e organizzazione aziendale.
L’impatto sui processi di selezione e gestione del personale è forse il più immediatamente percepibile. In questo ambito i pregiudizi cognitivi possono influenzare non solo le fasi di recruitment, ma anche le decisioni su promozioni, deleghe, trasferimenti, procedimenti disciplinari. I rischi possono assumere proporzioni rilevanti, con conseguenti danni economici e reputazionali.

L’impatto sui clienti si manifesta nell’ambito delle decisioni commerciali, nella individuazione dei prodotti, nella scelta delle campagne di marketing, nella relazione e gestione dei clienti, nella definizione del rischio di credito. Si tratta del core business di qualsiasi società, e un livello di rischio elevato in tale ambito può avere effetti incalcolabili.
Anche la scelta dei fornitori può essere pesantemente influenzata dai pregiudizi cognitivi, con rischi in materia di corruzione o concorrenza.

Il pregiudizio di genere, a mero titolo di esempio, può essere riconosciuto in tutti gli ambiti sopra indicati.

La funzione di Compliance

La funzione di Compliance è la funzione aziendale deputata al controllo di rischi di violazione di norme primarie e secondarie, nonché di disposizioni interne. Tale funzione è obbligatoria in taluni ambiti regolamentati, ad esempio banche ed assicurazioni, ma ha avuto rapida crescita e riconoscimento anche in diversi settori industriali.
Sempre più frequentemente negli ambiti regolamentati vengono richiesti specifici requisiti di professionalità, di autorevolezza, di esperienza (si pensi al sistema interno di controlli, alle figure deputate al controllo dei rischi di riciclaggio, all’ultima direttiva sui mutui, etc…).
L’attenzione del Regolatore si è ora rivolta, infatti, anche ad aspetti soggettivi delle organizzazioni aziendali, elevando l’importanza di una corretta individuazione e attribuzione di ruoli e responsabilità.
Tuttavia, a proposito di pregiudizi di genere, spesso la definizione stessa della norma è espressa al maschile, ad esempio “il Responsabile della funzione Antiriciclaggio”, “il Legale rappresentante”, il “Risk manager”, etc..
Anche gli standard delle comunicazioni istituzionali riportano nell’incipit “Egregi Signori” ed i i moduli normalmente iniziano con “il sottoscritto”…

Sempre più spesso le norme richiedono la diversificazione delle esperienze nelle decisioni collegiali (ad esempio nell’ambito della valutazione dei consigli di amministrazione), così come viene chiesto che vengano definiti e formalizzati processi aziendali improntati all’equità, alla garanzie di pari aspettative nella realizzazione dei propri business.

Molto interessanti sono i chiari riferimenti nell’ambito della normativa europea ull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale (cd. Direttiva CRD IV) al concetto di controllo sulle decisioni dei dirigenti in parte dovuto alla “mentalità di gruppo” e alla “mancanza di diversità nella composizione degli organi di gestione”.

Per non parlare delle chiare indicazioni di inclusione e di diversity che arrivano dagli Standard internazionali (ISO) e comunitari in ambito di Corporate Social Responsibility, relativamente all’impatto delle imprese nei processi sociali.

La metodologia di Compliance, basandosi su un dettagliato assessment delle procedure e dei processi aziendali, nonché su un ciclico piano di controlli per la misurazione di efficacia, può assumere un ruolo determinante nella quantificazione del rischio di pregiudizio.
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Tale quantificazione, effettuata secondo calcoli precisi e con un approccio “scientifico”, può agevolare il calcolo del “risk appetite and tolerance”, e cioè della propensione e tolleranza al rischio, nonché la definizione di piani di mitigazione del rischio.

Molte scelte aziendali sono effettuate sulla base del più classico dei pregiudizi cognitivi: il pregiudizio di coerenza. Si tende, infatti, a ripercorrere scelte già fatte in precedenza per non affrontare il rischio del nuovo, del diverso.

Chi non ha mai sentito dire “si è sempre fatto così” in ambito aziendale alzi la mano.
E’ quindi evidente come la scelta di un candidato, di un fornitore, di un cliente, si poggi sulla base delle precedenti esperienze.

Con riferimento al pregiudizio di genere, probabilmente un recruiter uomo tenderà ad effettuare le scelte basandosi su modelli maschili a lui noti, consolidati, anche nell’individuare e valutare una candidatura femminile.
Analogamente, i processi aziendali dedicati al welfare, se declinati da uomini, non prenderanno in considerazione esigenze tipicamente riconducibili all’universo femminile, quali la cura dei bambini, degli anziani, la maternità o la necessità di cure sanitarie e controlli dedicati.
O se lo fanno, lo fanno con logiche e codici maschili, basti verificare alcuni codici etici aziendali e cercare qualche riferimento alle parole donne, uguaglianza, inclusione, etc… e non trovarli.

Quanto sopra a dispetto delle numerose ricerche che dimostrano come un ambiente meglio organizzato e inclusivo garantisca un migliore clima aziendale, favorisca la produttività e riduca i costi aziendali.

Eppure la crisi industriale e finanziaria degli ultimi dovrebbe averci dimostrato concretamente la necessità di rivedere i modelli, di cambiare la rotta. In questo contesto un calcolo concreto dei costi della disuguaglianza, della disparità, dell’esclusione dovrebbe aiutare a dimostrare come il business abbia davvero necessità di esplorare nuove strade e trovare nuove soluzioni.
La scelta di coerenza con il passato dovrebbe lasciare il posto ad uno sguardo rivolto al futuro, alla proiezione delle organizzazioni sociali ed economiche a medio e lungo termine. Il passato dovrebbe essere base e monito del presente, un punto di arrivo e di partenza delle scelte future.

Chiedersi “perchè?”, cercare risposte razionali ed oggettive, individuare soluzioni alternative ed efficaci è Compliant. L’eliminazione o, almeno, il controllo del rischio è Compliant. Essere Compliant è consapevolezza.

Autore

Maria Rosa Molino

Maria Rosa Molino, nata a Torino, 53 anni fa, vive a Milano, è sposata e ha due figli. Avvocato, opera da oltre 30 anni nel settore bancario e finanziario. Dopo aver svolto attività di assistenza e consulenza legale presso importanti banche nazionali e internazionali, da oltre 8 anni ha assunto ruoli di crescente responsabilità nell'ambito della funzione Compliance, che rappresenta, per lei, il completamento della sua formazione professionale. Nel suo percorso personale e professionale ha avuto la fortuna di collaborare con tante donne leader e manager, che hanno fortemente ispirato (ed ispirano) la sua attività ed il suo impegno.

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