Il messaggio più importante di questo libro è sicuramente l’ottimismo.
Il desiderio, ma anche l’auspicio, che cambi una narrazione che ci mostra come un Paese ripiegato, quasi in agonia, con poche prospettive per il futuro.
Non si tratta però di un ottimismo perché così deve essere, ma ben radicato – sia dal punto di vista di Mercuri, ma anche dagli altri contributi – in una realtà che essi vivono quotidianamente, quella della tecnologia, del digitale e di una organizzazione sempre alla ricerca di nuove forme di convivenza e di lavoro.
Un ottimismo, come sottolinea l’introduzione, che può nascere solo dalla conoscenza, dalla disponibilità ad imparare e quindi dalle domande che i bambini pongono spontaneamente e a cui basta rispondere, o almeno provarci.
Questo rende il libro molto interessante, perché – partendo dall’esperienza di un padre – crea una connessione forte tra il passato e il futuro del lavoro, un futuro incerto e flessibile, in cui interverranno nuove e sempre più differenti tecnologie.
Un esempio, chi ha mai sentito parlare di blockchain se non pochi anni, forse mesi, fa?
La visione del mondo che si ricava leggendo il libro è nel contempo affascinante e, almeno per me, preoccupante. Il fascino deriva dalle immense potenzialità che si aprono, aspetti che già vediamo nella nostra attività quotidiana. Personalmente il “bip” del telepass è sempre una soddisfazione, che mi fa pensare a come mai molti altri restano in coda senza fidarsi di questo utile strumento. Oppure la comodità di fare un acquisto, un accredito, una ricerca, stando comodamente seduti davanti al proprio PC. La preoccupazione, forse più sintonica alla mia età, riguarda il rischio di “manipolazioni occulte”, i troll che invadono e a volte controllano le nostre vite, la dipendenza dalle numerose interfacce. Ma queste forse sono le preoccupazioni che hanno attraversato sempre l’umanità davanti ad ogni nuova scoperta.
“Il futuro del lavoro spiegato a mia figlia” prende in esame diverse questioni importanti partendo, e questa è una cosa meravigliosa, dalla curiosità dei bambini.
Leggendolo mi sono venute in mente tante domande che, a mia volta, mi sono sentita rivolgere: “mamma, non capisco che lavoro fai” Spiegare che mi occupo di formazione, diversità e inclusione non era facile. I primi anni l’uscita di sicurezza era “insegno ai grandi”, ma poi le domande sono diventate sempre più sofisticate con la necessità di trovare risposte che a volte, lo confesso, suscitavano nei bambini una certa ilarità. Meno male che avevamo un padre che costruiva centrali elettriche, ben visibili e altrettanto comprensibili.
Oggi i bambini sono nativi digitali ed è molto più facile aprire loro le porte della conoscenza. Sono a contatto con persone differenti, con radici culturali altrettanto diverse, si muovono in un mondo dalle altissime potenzialità. Una situazione che forse noi adulti, soprattutto quelli meno sensibili ai temi dell’inclusione, forse non riescono nemmeno ad immaginare.
Ma proprio l’ottimismo che nasce da questa visione, non può che generare il pessimismo per i “nuovi esclusi”. I dati sull’occupazione italiana, la riflessione sulla scuola e le necessità che emergono tracciano un confine molto preoccupante che sta già agendo sulla nostra società, corrodendo alcune delle radici che si davano per scontate. Il “digital divide” è solo l’espressione di un divario molto più profondo che fa prevedere un mondo di “sommersi e salvati”, per dirla alla Primo Levi. Accanto a questi bambini che hanno le opportunità che servono, vi sono famiglie che ancora vivono in un’ignoranza incomprensibile nel ventunesimo secolo, e che non sempre è correlata alla mancanza di reddito. E’ necessario quindi, come sottolineano alcuni contributi, lavorare su una scuola di base sempre più attenta alle conoscenze necessarie per il nuovo mondo.
Il passo successivo sono le materie STEM, quei percorsi universitari che creano professionisti oggi contesi dal mercato del lavoro, che invece non accoglie tantissimi bravi studenti, ma dal background inadeguato.
Il futuro della società, prima ancora che del lavoro, sarà più roseo se saremo capaci di affrontare questi temi, di dare un’opportunità concreta ai bambini e ai ragazzi di contesti svantaggiati: hanno anche loro tante domande, ma poche persone in grado di fornire risposte.