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La situazione femminile in Italia: tra presente, passato e futuro

La situazione femminile in Italia

L’11 settembre si terrà in versione digitale il “Global Inclusion 2020”, la seconda edizione del summit di imprese, associazioni, università e istituzioni impegnate nella promozione di una cultura inclusiva.

Lavorare su questi temi risulta essere ancora più urgente e di attualità nel contesto della pandemia in atto: senza un impegno consapevole l’esperienza pandemica rischia di acuire le discriminazioni e le barriere nei confronti della diversità, generando diffidenza, divisione e allontanamento.

In vista di questo appuntamento sono state realizzate alcune interessanti interviste ad esperti e professionisti del panorama della D&I. Oggi vi raccontiamo quella alla nostra fondatrice e presidente Maria Cristina Bombelli, che ha condiviso con Andrea Notarnicola alcuni spunti di riflessione sul binomio donne e lavoro.

Se volgiamo uno sguardo al passato la situazione femminile è certamente migliorata, anche se – su diversi fronti – la strada da fare è ancora tanta. 

I temi fondamentali da tenere sotto controllo sono almeno tre:

  1. Il primo riguarda l’occupazione femminile, che in Italia è molto più bassa delle altre realtà europee e presenta una forte divaricazione nord – sud. Un tema perfettamente sintonico a tutti quelli che riguardano lo sviluppo del nostro Paese, uno sviluppo spesso rallentato dai problemi cronici che pochi cercano realmente di affrontare: l’emersione del lavoro nero, la correttezza nelle relazioni industriali, un approccio etico alle retribuzioni, per citarne alcuni. Temi di ampia portata di cui la disoccupazione femminile, la carenza di servizi, la poca attenzione alla genitorialità sono, purtroppo, solo la punta dell’iceberg.  Questi punti andrebbero affrontati con una “rivoluzione etica”, che vada ben oltre i pur interessanti interventi di responsabilità sociale, che spesso appaiono solo un lifting a pratiche gestionali scorrette.
  2. Il secondo tema riguarda la segregazione orizzontale, come viene definita in gergo, ovvero la presenza di mansioni (o addirittura di settori) completamente maschili o femminili.
    È interessante notare che su questo molto è stato fatto fin da quando, negli anni ’70, alcune aziende high tech (ad esempio IBM, la prima in quest’ambito), cercarono di assumere le donne introducendole negli ambienti scientifici. La carenza femminile iniziò ad essere visibile e vennero lanciati molti interventi atti a motivare le studentesse ad intraprendere percorsi STEM. Questa attenzione porta oggi ad avere il 25% di laureate in ingegneria, ancora poche, ma con un trend interessante.
    In questa osservazione della realtà ci si è dimenticati completamente della dimensione maschile, non evidenziando che gli uomini iscritti a Scienze dell’educazione (solo per citare la facoltà cardine del femminile) sono solo il 5%, con una tendenza alla diminuzione in questi ultimi anni.
    Il tema va affrontato in entrambi i segmenti ed è strano che si continui a rimuovere il maschile: una rimozione che non è in linea con quanto accade sul fronte della genitorialità, dove i nuovi padri non solo esistono, ma reclamano un riconoscimento concreto del loro contributo al lavoro di cura.
  3. Un terzo punto molto, sintonico all’attività di Wise Growth di questi anni, riguarda le carriere al femminile e l’accesso alle posizioni di potere. Questa attenzione risale al 2000, quando uscì per Etas “Soffitto di vetro e dintorni” con l’obiettivo di mettere in evidenza le cause di questa scarsa presenza. Da allora,  molte altre ossociazioni  e istituzioni, lavorano per supportare le carriere al femminile, consapevoli che si tratta di operare su due fronti: quello culturale, che non ritiene le donne adatte ai ruoli di comando (fronte ancora agguerrito, ma che sta perdendo via via sostenitori), e quello personale. Per migliorare questo secondo fronte si supportano le donne ad aver maggior fiducia nelle proprie competenze e capacità e ad accettare le sfide che la carriera propone.
    Resta un tema importante di “motivazioneal potere che molte ricerche mostrano diverso nei due generi. Questo minore interesse al femminile sfocia in un fenomeno che stiamo monitorando: quello di donne intorno ai cinquant’anni che lasciano una carriera molto interessante dal punto di vista oggettivo, perché non risponde più ad un bisogno profondo di autorealizzazione. Un fenomeno che descrive il disagio e la fatica di agire in contesti costruiti da uomini, con dinamiche competitive e aggressive, giustificate come le uniche possibili in un mondo dalla concorrenza spietata.

Ora, ci dicono, le cose stanno cambiando: il Covid è entrato prepotentemente nelle nostre vite per scompaginare molte certezze.

E le donne?

Durante il lock-down le donne sono quelle che hanno pagato il prezzo più alto: rinunce per le lavoratrici, lavoro forzato per le madri, e anche per i padri sensibili; purtroppo però, a dare un’occhiata agli studi ISTAT sulla condivisione del lavoro, sono ancora le donne la vera chiave di volta del lavoro domestico.

Mettere insieme il lavoro retribuito – che è difficile chiamare smart – la cura della casa, l’approvvigionamento, la cucina, l’accudimento dei figli e la sostituzione agli insegnanti è stato al limite della sostenibilità umana.

In questo contesto nessuno, a quanto ci sembra, ha svolto una valutazione sull’operato delle scuole, alcune eccellenti, altre totalmente assenti, un anello mancante che preclude ogni riprogettazione intelligente.

In questo quadro, cosa possono fare le aziende?

  • Continuare, per chi lo ha già intrapreso, un percorso di costruzione di una cultura inclusiva, che significa innanzitutto conoscersi, capire quali siano i problemi reali, concreti dei propri collaboratori. A volte ci si fa incantare dalle mode, me è la cultura quotidiana che deve essere indagata per agire in modo efficace.
  • Rivedere le proprie politiche di occupazione, sfatando il mito che licenziando si aumenti il valore dell’azienda (mito suffragato dalle quotazione di borsa, che salgono appena si annuncia una riduzione di personale). Spesso, invece, si buttano via competenze preziose che poi è difficile recuperare negli anni successivi.
  • Supportare le carriere al femminile è sempre un utile esercizio per comprendere quali siano le dinamiche di esclusione, costruendo una conoscenza che può essere utile in senso più ampio.
Insomma, di lavoro da fare ce n’è veramente molto, e ci siamo concentrati solo sugli aspetti del femminile.

Anche altri punti, ad esempio, sarebbero molto importanti: in primo luogo, il tema delle differenze generazionali. Ma quando si assume una cultura inclusiva come obiettivo, poi diventa più semplice tenere a bordo tutti.

In questo senso il femminile può essere un primo approccio, che aiuta ad estendere una cultura del lavoro realmente sensibile alle differenze.

 

Autore

Redazione Diversity-Management.it

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