Age diversity Lavoro e Management

Non solo conflitto generazionale: quello che non ti aspetti da “Lo stagista inaspettato” – (parte 2)

Motivazione e diversità

Il post di lancio di questo ciclo sul tema del rapporto generazionale all’interno delle organizzazioni ci ha mostrato come dalla rottura di alcune prassi consolidate, come quella ad esempio che lo stage possa essere rivolto soltanto ai giovani, possano nascere delle situazioni nuove e interessanti che permettono di costruire una nuova cultura gestionale più inclusiva.

Uno dei meriti del film “Lo stagista inaspettato” è anche quello di offrirci uno spaccato sulla vita in azienda e sulle implicazioni che le differenze nei valori tra le generazioni hanno e che possono manifestarsi, a volte, sotto forma di conflitto. Ben, infatti, il settantenne che viene assunto come stagista in una startup nel settore e-commerce che si occupa di abbigliamento, viene da subito etichettato come “diverso”. Ed è proprio a partire da come si veste che nascono le prime distinzioni tra “lui” e gli “altri”.

“Ben viene dalla vecchia scuola, è il classico gentiluomo”

Soprattutto in un contesto smart e super informale come quello delle startup, infatti, lo stile e l’atteggiamento di Ben viene considerato come retrò, esageramene formale e non adeguato al tipo di immagine che si vuole esprimere nei contesti lavorativi moderni e tecnologici.

Jules: “Non serve che tu ti vesta elegante siamo super casual qui!”… Ben: “Mi sento più a mio agio”

Questa sua formalità, inoltre, non si limita soltanto all’abbigliamento e allo stile, ma si riflette anche nell’ossequioso rispetto della gerarchia e dell’autorità che ha nei confronti di Jules – la fondatrice trentacinquenne dell’azienda – che non sopporta il suo presentarsi fisicamente nel suo ufficio e lo invita a restare seduto alla sua scrivania in attesa di una sua email.

Ben: “Passo io due volte al giorno”… Jules: “Ti mando una mail”

Ma Ben non sa neanche accendere il PC! (Inutile descrivere lo sgomento dei suoi colleghi nello scoprire che ci sia ancora qualcuno che non è in grado di farlo). Insomma, Ben incarna in pieno lo stereotipo del Baby Boomer.

Entrato nella sua precedente azienda guidato dall’idea di “vivere per lavorare”, c’è restato per 40 anni senza mai cambiare posto e lavorando sodo distinguendosi per la sua lealtà e devozione. Incarna le caratteristiche della generazione del “fare” – tanto che non avendo nulla da fare decide di mettere finalmente a posto la scrivania sovraccarica e disordinata alla quale nessuno osava mettere più mano – e per lui l’approvazione sociale e lo status sono due elementi ai quali è molto legato e che cerca di trasmettere ai suoi nuovi colleghi.

“Vestiti per fare colpo, infila dentro la camicia, perché nessuno infila più niente dentro?”

La verità è che inizialmente sono tutti molto imbarazzati dal doversi relazionare con una persona che appartiene ad una generazione così distante dalla propria e, il suo capo prima di tutti gli altri, senza fare molto per nascondere il suo pregiudizio lo considera come un peso, una zavorra non funzionale, un elemento di rallentamento dal quale tenersi il più alla larga possibile. D’altro canto, lo stile di comunicazione formale e l’atteggiamento al lavoro molto strutturato e conservativo rallentano i processi decisionali e comunicativi e contrastano con la spinta alla competitività e all’innovazione sempre più distintivi nel settore high tech.

Perché tutta questa enfasi sulle differenze e sui rischi collegati al conflitto quando si parla di generazioni e, soprattutto, di generazioni che convivono nei contesti lavorativi?

Vostro padre che viene a svegliarvi nel cuore della notte per mostrarvi in diretta tv lo sbarco dell’uomo sulla Luna, il ritrovamento del corpo di Aldo Moro nella Renault rossa, la nascita di una nuova Europa con la caduta del muro di Berlino, gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino nella sanguinosa estate del 1992, l’attentato che ha cambiato definitivamente il modo di percepire il mondo e il “diverso” l’11 settembre del 2001… qual è il primo evento di questo genere che ricordate della vostra vita? (il primo, non quello che vi ha colpito di più o ricordate meglio!). E ora provate a pensare alla musica che voi e i vostri coetanei ascoltavate durante l’adolescenza, ai film di cui conoscevate tutte le battute a memoria, i libri cult, al capo di abbigliamento che tutti nella vostra comitiva avevano.

Sono proprio gli eventi storici e i fenomeni culturali come questi che, vissuti durante la propria gioventù, generano una memoria collettiva che non solo influenzerà attitudini, preferenze e comportamenti ma genererà un distinto gruppo generazionale con propri valori, stili, preferenze.

Il concetto di ”generazione”, così sfuggente e difficile da definire, ha origine negli anni ’50 dagli studi di Mannheim per comprendere la struttura dei movimenti sociali e intellettuali. Questa prospettiva sociologica considera proprio la competizione per le risorse come un aspetto strutturale del conflitto intergenerazionale.

Le generazioni, infatti, si differenziano per il tipo di risorse che considerano importanti e l’accesso e il controllo di queste risorse diventa uno strumento per mantenere l’identità generazionale.

Il fatto che Ben sia così formale e attento agli aspetti che consentono di rinforzare lo status di una persona è dovuto al fatto che nascendo in un periodo (tra il 1943 e il 1960) caratterizzato da insicurezza socio-economica e precarietà è più facile apprendere valori legati alla sopravvivenza come, ad esempio, la razionalità, il materialismo, il conformismo e il rispetto per l’autorità.

I suoi colleghi più giovani, invece, che sono tutti esponenti della generazione X (nati tra il 1961 e il 1981) e la generazione Y (nati dopo il 1982) sono cresciuti durante periodi di sicurezza e floridità in società industrializzate ed hanno appreso valori post-materialisti come l’egualitarismo, l’individualismo, la fiducia negli altri e la tolleranza della diversità.

generazioni_in_aziendaÈ proprio per spiegare le differenze nei valori che le generazioni manifestano nei contesti lavorativi che Wise Growth ha recentemente condotto una delle prime ricerca che ha contestualizzato il modo in cui le generazioni intendono il lavoro in Italia e che è descritta nel libro “Generazioni in Azienda”. Il libro, oltre a presentare quali sono le differenze oggettive o percepite da parte delle generazioni e quali sono i rischi e le conseguenze di una cattiva gestione manageriale di questa diversità, sottolinea anche come un qualsiasi discorso gestionale non possa che partire dall’idea di lavorare sulle similarità e non sulle differenze, di far leva sui punti di forza di ogni generazione creando una proficua sinergia pur incoraggiando e rispettando differenti stili di apprendimento, comunicazione, lavoro, etc.

Alla stessa conclusione ci porta anche Nancy Meyers con la sua pellicola “Lo stagista inaspettato”. Ben, infatti, arriva pensando di avere molto da imparare, invece col tempo tutti vogliono imparare da lui e gli chiedono consigli. Il suo essere leale, affidabile, e il saper affrontare le crisi, uniti ad una socialità innata ed una proattività marcata, fanno sì che la sua presenza non soltanto permetta ai suoi giovani colleghi di superare i propri stereotipi e pregiudizi nel relazionarsi con persone appartenenti ad una generazione così lontana, ma questa commistione aumenta la creatività, l’innovazione e la capacità di problem solving.

Attenzione però non confondere caratteristiche individuali con tratti generazionali, questo sarebbe un grave errore sia in positivo che in negativo. Raccontare che i Baby Boomers siano in un modo e gli Y in un altro corre il rischio di portare a facili quanto superficiali generalizzazioni. Tuttavia, che persone con età ed esperienze diverse possano lavorare insieme completandosi a vicenda, sebbene possa sembrare un’utopistica visione, è qualcosa che dovremmo sforzarci tutti di trasformare in realtà, se consideriamo quanto la vita lavorativa si stia allungando e quanto sempre più in futuro generazioni diverse condivideranno per più tempo che nel passato lo stesso ambiente di lavoro.

Siete pronti ad aiutare la generazione X a connettersi con la generazione dei Baby Boomers o a sfidare costantemente la generazione Y per mantenere alta la motivazione?

Autore

Alessandra Lazazzara

Professoressa Associata di Organizzazione Aziendale e HRM presso l’Università di Milano.
Ha conseguito un dottorato di ricerca in Sviluppo Organizzativo presso l’Università di Milano-Bicocca dopo un visiting period presso The Netherlands Interdisciplinary Demographic Institute (NIDI) in Olanda. Si occupa di D&I Diagnostic (analisi di clima, mappatura della workforce, internal labour force analysis, benchmarking, etc.) e dei percorsi di formazione e sviluppo professionale.
Le sue aree di intervento riguardano l’age management, l’empowerment e la leadership al femminile. É autrice di pubblicazioni scientifiche nel campo della formazione e gestione delle risorse umane ed è membro dei comitati editoriali di The International Journal of Human Resource Management, Industrial and Commercial Training, SN Business & Economics, Baltic Journal of Management, Prospettive in Organizzazione. È inoltre membro del consiglio direttivo di ASSIOA-Associazione Italiana di Organizzazione Aziendale e Vice President di ItAIS – Italian Chapter of the Association for Information Systems.

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