Lo scorso 12 settembre, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministro dell’Economia e delle Finanze hanno firmato un decreto che riconosce sgravi contributivi ai datori di lavoro del settore privato che abbiano previsto istituti di conciliazione tra vita professionale e vita privata dei lavoratori all’interno dei contratti collettivi aziendali.
Il decreto è sostenuto da un fondo pari a 110 milioni di euro per il 2017 e il 2018 e potranno beneficiare dell’agevolazioni sui contributi previdenziali i datori di lavoro che avranno depositato contratti aziendali di secondo livello dal 1° gennaio 2017 e fino al 31 agosto 2018. Accanto alle misure afferenti all’area della genitorialità (l’estensione temporale dei congedi parentali e di paternità, la definizione di percorsi formativi per il rientro dal congedo di maternità, e la previsione di nidi d’infanzia, spazi ludico-ricreativi e buoni per l’acquisto di servizi di baby sitting), vengono incluse forme e modalità di flessibilità organizzativa (il lavoro agile, la flessibilità oraria in entrata e in uscita, il part-time, la banca delle ore e la cessione solidale dei permessi), nonché interventi definiti di “welfare aziendale” (convenzioni per l’erogazione di servizi time saving, tese ad aiutare il lavoratore nel disbrigo delle faccende domestiche, convenzioni con strutture per servizi di cura e buoni per l’acquisto di tali servizi).
Perché questa attenzione da parte delle aziende?
Il decreto suggella l’attenzione che negli ultimi decenni il mondo aziendale ha rivolto alle politiche volte a promuovere un ponte fra gli impegni familiari e professionali di lavoratori e lavoratrici. Da diversi anni, infatti, come Wise Growth supportiamo le aziende nell’implementazione di servizi e strumenti di conciliazione ulteriori sia rispetto a quanto già previsto dalla normativa nazionale o locale sulla maternità e la genitorialità e dalle politiche pubbliche per la famiglia, sia sul versante organizzativo, promuovendo una cultura inclusiva, sia su quello personale, promuovendo la genitorialità.
Due le principali motivazioni di questo interesse da parte delle imprese: da un lato, il riconoscimento del capitale umano come risorsa chiave per il successo aziendale: da qui la necessità di creare un contesto organizzativo in grado di valorizzare il benessere delle persone.
Dall’altro, un crescente interesse delle aziende nell’assumere un ruolo positivo nella società con la conseguente decisione di integrare le misure obbligatorie esistenti e colmare le lacune del welfare sociale: aziende quindi come Corporate Citizenship (Donati, Prandini 2009), radicate nel proprio territorio, nella società, con diritti e doveri di cittadinanza.
La situazione in Europa e in Italia
I dati di Eurofound (2012) mostrano che in Europa si registra un aumento del numero di imprese che mettono a disposizione dei propri collaboratori dispositivi di conciliazione.
Tra queste pratiche è possibile annoverare il part-time (nelle sue molteplici articolazioni), il job sharing, le banche delle ore, la flessibilità in entrata e uscita, il telelavoro ma anche i congedi parentali e le pratiche di sostegno alla maternità/paternità, nidi aziendali e strutture di ausilio o convenzioni aggiuntive per bambini ed anziani.
Spunti interessanti di riflessione sugli strumenti oggi adottati dalle aziende in Italia ci vengono offerti dalla seconda edizione dell’indagine Cranet (Cranfield Network on Comparative Human Resource Management) condotta nel 2014-2015 e curata dal Bicocca Training and Development Centre dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca insieme all’Associazione Italiana per la Direzione del Personale. La ricerca, che ha coinvolto più di 160 aziende, si è posta l’obiettivo di fornire una fotografia riguardo le pratiche e le politiche di gestione delle Risorse Umane delle aziende italiane private e nelle pubbliche amministrazioni con più di 200 collaboratori.
Per quanto attiene le pratiche di work life balance, due sono le principali evidenze.
Innanzitutto si registra, rispetto alla rilevazione precedente, una diminuzione delle pratiche, soprattutto per quanto riguarda i congedi per studio e formazione (-15%), il congedo di paternità (-13%) e il congedo parentale (-12%): segnali evidenti di un orientamento all’efficienza che ha messo in secondo piano l’attenzione al benessere dei lavoratori, a causa delle pressioni sui costi in una fase di scarsa crescita dei fatturati e dei margini.
Il secondo dato è che le aziende sembrano prediligere l’introduzione di asili nidi aziendali (con un lieve aumento della loro diffusione, +4%) o di facilities di vario genere, senza toccare gli aspetti più strutturali dell’organizzazione del lavoro che invece potrebbero dare risposte più concrete alle richieste di personalizzazione dei benefits.
Le pratiche di work life balance in Italia
Le due direttrici: flessibilità e condivisione
In questo quadro in cui le pratiche della conciliazione tendono a connotarsi ancora prevalentemente come strumento per il soddisfacimento di esigenze e bisogni della popolazione lavorativa femminile – legati a specifici e definiti cicli vitali – stanno emergendo segnali di cambiamento lungo due diverse direttrici, come abbiamo delineato nel libro Genitori al lavoro. L’arte di integrare figli, lavoro, vita:
- Il passaggio dalla conciliazione alla flessibilità dei tempi e degli spazi del lavoro. Negli ultimi anni infatti stiamo assistendo alla diffusione di progetti di smart working o lavoro agile che stanno promuovendo un cambiamento dell’organizzazione del lavoro basata su una sorta di indifferenziazione di possibilità lavorative, per cercare di dare una risposta incisiva ai nuovi bisogni della popolazione organizzativa (e non solo delle lavoratrici): si tratta in sintesi di “una soluzione organizzativa che, nel coniugare pratiche di workplace design e di flessibilità temporale e spaziale, consente ai dipendenti coinvolti di prestare la loro attività lavorativa indipendentemente dalla localizzazione geografica, grazie all’uso di idonei strumenti, secondo i loro tempi e le loro preferenze nelle modalità di svolgimento del loro lavoro: nessun cartellino da timbrare, nessuna postazione di lavoro fissa in sede, nessun orario e vincolo logistico” (Cuomo, Mapelli, 2014).
- Il passaggio dalla maternità alla genitorialità. Anche se la conciliazione continua ad essere un tema delle donne, da più parti viene sottolineata la necessità di evitare una sua ‘femminizzazione’ che rischia di diventare controproducente e di non consentire un’effettiva equità di genere. La conciliazione dovrebbe diventare una questione di famiglia, nella quale uomini e donne si sentono e sono ugualmente coinvolti per segnare definitivamente il passaggio dalle politiche di conciliazione a quelle di condivisione tra madre e padre negli impegni di lavoro e di famiglia. Ad oggi in Italia poche sono le prassi aziendali che promuovono la partecipazione paterna al lavoro di cura e, anche nei contesti in cui esistono, sono evidenti le difficoltà dei lavoratori ad usufruirne.
Non ci resta dunque che vedere se le aziende riusciranno a cogliere le opportunità offerte dal Decreto perché è bene ricordare che l’equilibrio tra vita professionale e vita privata, oltre ad essere un presupposto necessario per la produttività aziendale, è un diritto fondamentale del lavoratore, come sancito dal Parlamento Europeo.