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Sotto il segno dell’ignoranza, Paolo Iacci

Sotto il segno dell'ignoranza
L’orgoglio dell’ignoranza

Lo confesso: leggere il libro di Paolo Iacci è faticoso, non per la scrittura scorrevole, non per la disposizione dei capitoli che iniziano sempre con un esempio, che aiuta ad entrare con facilità anche in temi complessi, ma per il contenuto che via via si accumula davanti gli occhi del lettore.

Alcune delle informazioni mi erano note, soprattutto nel versante delle distorsioni cognitive di cui mi occupo da molto tempo, molte altre meno, ma vederle tutte così ben articolate fa riflettere.

Sotto il segno dell'ignoranza

Come dice il titolo il libro mette a fuoco l’“ignoranza”, quell’aspetto della vita che in un passato non lontano veniva guardato con sospetto, ma soprattutto costituiva la molla per muoversi verso un universo migliore. L’istruzione rappresentava un elemento fondamentale di riscatto, consentiva di accedere a un gruppo sociale più prestigioso, dava la possibilità di guadagnare meglio. Cosa che, sottolinea, in un altro recente lavoro Abravanel, non è uguale in tutti i paesi.

Assistiamo con sgomento quasi ad un “orgoglio” dell’ignoranza che molti esempi del testo mettono in luce, dal famoso “questo lo dice lei!” all’attacco alle persone che detengono il sapere come gruppo elitario e un po’ snob.

“Questo lo dice lei”

“Una delle motivazioni a questo libro nasce proprio dalla lettura dei giornali il giorno successivo alla sferzata rivolta al Prof Padoan, il famoso “questo lo dice lei” appunto.
“Quasi nessun commentatore sottolineava la gravità di questo scambio, quasi che ci si fosse assuefatti allo “svilimento” della conoscenza…”.

Lo scritto di Paolo Iacci appare come un grido di dolore: prima la descrizione del fenomeno e poi la ricerca delle cause che hanno caratterizzato il capovolgimento dalla stima sociale del “sapere”.

Le dinamiche che concorrono a questa mutata situazione sono differenti.
Innanzitutto, come dice il sottotitolo ad un classico romanzo cinese “Il sogno della camera rossa”, il vero si fa falso e il falso si fa vero.
Nell’epoca delle fake news il confine si fa sempre più labile, ogni notizia deve essere verificata, perché oltre alla normale non conoscenza, vi sono proprio degli attori sociali che utilizzano il falso per arrecare danno, per orientare le scelte, politiche o di consumo che siano.

La mancanza del padre

Un punto che ho trovo particolarmente interessante è la riflessione relativa alla mancanza del padre, una considerazione già introdotta nella nostra rivista attraverso la recensione del libro di Zoja.
La difficoltà maschile ad esercitare la funzione paterna diventa un elemento che invece di dare libertà, paradossalmente la inibisce in una situazione di costante incertezza, sviluppando una sorta di rancore per le figure di autorità.
Questa mancanza influisce anche sul “desiderio”, una molla interiore potente che sola può portare le persone a delle scelte individuali che alimentino l’identità.

Un mondo senza riferimenti

La complessità del nostro mondo, digitale, articolato, globale, spesso fa si che le/i “maestre/i” si sottraggano alla funzione propria di trasmettere il sapere.
Nei social, sottolinea Iacci, spesso le/i tecniche/i, che sono detengono il sapere, non ci sono, non affrontano -e come dal loro torto- la gogna quotidiana del confronto con l’ignoranza agita, che spesso è veicolata dall’aggressività. Nascono invece le/gli “influencer” che lo diventano per capacità di comunicazione, per un’idea azzeccata, per le esigenze di un particolare momento della collettività. Ma che con la conoscenza, spesso, hanno poco a che fare.

Analfabetismo funzionale

Dei molti aspetti che il libro propone sottolineo ancora l’analfabetismo funzionale che, nella definizione Unesco è “la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti, per raggiungere i proprio obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.

La ricerca che dà il risultato migliore è dai dati PISA-Ocse, e conta il 27.9 % tra o 16-65 anni.
Altre ricerche arrivano a quantificare questo fenomeno fino al 46% della popolazione, ma anche fermandoci al dato più basso, la situazione appare comunque estremamente difficile.
Se da un lato, quindi, aumenta la complessità del contesto, dall’altra diminuisce la capacità degli individui di gestirla, una situazione che non può che allarmare.

Una visione che va ridefinita

Altri e interessanti sono gli spunti che possono emergere dalla lettura, perché il testo è veramente esauriente.
Rimane aperta una domanda chiave che ho condiviso con l’autore, per capire quali possono essere le strade per affrontare un problema che appare enorme e non in via di diminuzione.

Sotto il segno dell'ignoranza

Il grido di allarme si trasforma quindi in una chiamata all’azione proprio da parte di quella – come vogliamo chiamarla? – elite, classe dirigente, segmento professionale della società. La situazione non può essere ignorata, va compresa, in primo luogo e quindi affrontata.
Si tratta della necessità di ri-definire una visione, che coinvolga le persone più consapevoli della società, affinché ogni azione politica e sociale parta da questa consapevolezza: che l’ignoranza dilaga, senza ostacoli, e che il rischio che questo comporta è altissimo. È necessario quindi imparare a progettare il futuro, piuttosto che subirlo.

Il ruolo delle aziende

Un confronto ulteriore con l’autore riguarda il ruolo delle aziende, le realtà nella quale entrambi, nel nostro ruolo di consulenti, possiamo operare.

Il tema è difficile, risponde Paolo Iacci, in quando non possiamo chiedere alle aziende di operare eccessivamente al di fuori del proprio mandato sociale.
Indubbiamente alla classe dirigente aziendale è stata, pur con alcune eccezioni, chiesto di lavorare su obiettivi, a cui seguiva una valutazione organizzativa ed individuale.
È quindi un segmento professionale che ha acquisito un metodo, cosa che la distingue da altri gruppi sociali operanti nella politica, ad esempio, o in alcuni settori della pubblica amministrazione.

Alcuni spunti interessanti, magari sporadici, ma significativi arrivano anche da medie aziende italiane: la capacità di conoscere il territorio di appartenenza e di agire a supporto dello sviluppo in modo indiretto, attraverso servizi alla comunità, ad esempio, borse di studio, formazione professionale.

In alcune grandi aziende, viceversa, si sta sviluppando un’attenzione alla supply chain, come nell’esempio di Kering,  che ha attivato interventi di informazione e formazione all’inclusione femminile.

Insomma, senza chiedere l’impossibile, è giusto che le realtà aziendali si rendano conto che l’inclusione non è un tema che riguarda solo il proprio interno, ma che i confini sono “porosi” e che la responsabilità sociale amplia la necessità di attenzione non solo alle catene di outsourcing, ma anche, ad esempio, alle false collaborazioni.

Ignoranza e intolleranza

Nel dialogo finale con Umberto Galimberti viene sottolineata una forma di limite all’inclusione decisamente importante: l’ignoranza è inevitabilmente associata con l’intolleranza. 
Traducendo questo aspetto in competenze, non si tratta solo di “conoscere”, ma di imparare il “dialogo” con l’altro, accettando punti di vista differenti, discutendo su contenuti concreti.
Ecco perché i temi sono collegati: solo attraverso la limitazione dell’analfabetismo funzionale e il porre argine all’ignoranza dilagante   possiamo costruire dei contesti inclusivi. Altrimenti tutte le buone aspirazioni che nei progetti di questo tipo vengono declamate, rischiano di restare solo parole.

Autore

Cristina Bombelli

Fondatrice di Wise Growth, si è occupata di Diversity & Inclusion dagli anni ‘80.

È stata professoressa presso l’Università di Milano-Bicocca e per anni docente della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi dove ha fondato il primo centro studi di ricerca sul tema. È stata visiting scholar presso l’Università di La Verne in California.
È pubblicista e autrice di numerosi articoli sui temi del comportamento organizzativo e della gestione delle diversità. È stata presidente della fondazione “La Pelucca” onlus, dedicata ad anziani e disabili. È certificata IAP di THT (Trompenaars Hampden – Turner) per la consapevolezza interculturale, executive coach con Newfield e assessor con Hogan.

Ha pubblicato numerosi libri tra i quali i più recenti: Alice in business land. Diventare leader rimanendo donne, 2009; Management plurale. Diversità individuali e strategie organizzative, 2010; Un manager nell’impero di mezzo, 2013; Generazioni in azienda, 2013; Amministrare con sapienza, la regola di San Benedetto e il management, 2017; La cultura del Rispetto. Oltre l’inclusione, 2021.

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